Cannes 72 - Dolor Y Gloria, la recensione
Amori dal passato, ricordi di passioni sopite e dolori fisici terribili nel presente, Dolor Y Gloria porta l'idea cardine di Pedro Almodovar (il corpo è una gabbia) a nuovi livelli
Dolor y Gloria è la storia di un regista che non si chiama Pedro Almodovar ma è Pedro Almodovar, afflitto da dolori, acciacchi, acufene, blocchi all’esofago e quant’altro, una serie di mali così intollerabili che l’hanno alienato da tutto, anche dal suo lavoro (“Fare il regista è un lavoro fisico”) e quindi è caduto in depressione. Incontra così l’eroina e diventa un drogato per alleviare i suoi dolori, per un amico scrive una sceneggiatura per un monologo teatrale tratto da un fatto della sua vita, sbloccando una serie di eventi che lo porteranno a confrontarsi con il passato.
Incredibilmente Almodovar riesce a fare un racconto punk di una persona anziana, benestante e quieta. Questo regista affaticato e pieno di dolori, molto ricco ma dalla vita calma e attutita si droga e fa sesso. Riesce a farlo perché centra un tono che prima di questo film non esisteva, quietamente punk, un tono che rende plausibile e non ridicola la storia di un coetaneo di Almodovar che esagera con droghe e alcol alimentato da un nichilismo depresso. Non esistono altri esempi a cui appoggiarsi nella storia del cinema, l’ha creato Almodovar adesso. C’è addirittura una scena di bassifondi e spaccio, con violenza e sangue ma sempre quieta e piena di sole.
E anche le interpretazioni lavorano in accordo. Antonio Banderas è al suo apice e riesce con abilità insospettabili a fare il massimo sforzo di un attore: unire opposti solitamente inconciliabili. Essere controllati ma emotivi al tempo stesso in un punto d’incontro ossimorico che tutti gli attori coinvolti (non solo Banderas) riescono a maneggiare solo in questo film.
Il corpo è una gabbia e chi lo abita può non avere niente a che vedere con quell’involucro. Negli anni ‘90 era sempre il sesso ad essere la discriminante, ora è diventata la vecchiaia. Un regista più banale avrebbe lavorato sulla voglia di giovinezza, Almodovar ne fa l’avamposto della sua visione del mondo, ne fa uno spunto per una clamorosa non-storia d’amore dal passato e fa una riflessione su chi siamo veramente a partire dai ricordi e quanto l’involucro ci condizioni.