Cannes 72 - Belle Epoque, la recensione

A partire da uno spunto di grande successo nella storia del cinema, Belle Epoque tira fuori un film completo, dolcissimo e divertente, un capolavoro di scrittura pop

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

L’esito più facile di tutti con un’idea di partenza come quella di Belle Epoque è far naufragare il film dopo la prima parte. Ad un uomo a disagio nel tempo moderno viene regalata un’esperienza unica: rivivere un periodo storico e una situazione a piacimento. La compagnia che lo offre ricrea in un set luoghi e tempi, usa attori, luci e musiche dirette in tempo reale in un misto di cinema e teatro per creare l’illusione attorno al cliente. Insomma all’elemento di fascino maggiore di Peggy Sue Si è Sposata (il viaggio indietro nella propria giovinezza), il film di Nicolas Bedos ci aggiunge il fascino della grande messa in scena, del rapporto tra regista-Dio e sue creature.

La scelta del protagonista (un cauto e ammirabile Daniel Auteuil) cade sul 1974, il momento in cui conobbe la moglie. La forzatura implausibile è che tutto sia davvero ricostruito bene e nonostante la falsità da cinema sia esposta (le luci sopra la testa, le pareti di cartapesta), più il protagonista vive quella finta giovinezza più il protagonista ci crede, più i sentimenti riemergono e la ricostruzione diventa coinvolgente. In mezzo ci sarà la storia del regista, preso in una storia difficile con la sua prima attrice che qui interpreta la versione giovane della moglie del cliente (Doria Tillier, di una bellezza devastante). Questo continuo rimando al presente (di cui siamo al corrente solo noi e non il protagonista), invece che appesantire il film è invece il segreto del suo successo, un punto di forza potentissimo.

Belle Epoque invece di morire dopo poco va così a fondo ma così a fondo nella sua idea da creare un racconto a tratti bellissimo. Dotato della rarissima dote di saper scrivere bene i momenti più semplici, di portarli senza enfasi e di giocare magistralmente con i propri attori (nessuno sopra le righe nonostante il contesto, anzi tutti dolcemente stupiti e bisognosi d’affetto) non esagera nemmeno con il concetto di attori che recitano persone da una vita altrui. Belle Epoque è una commedia di affetti veri che sa usare il fascino del proprio spunto, che lo sa coltivare e alimentare per non esaurirlo subito.

Consapevole delle ruffianerie su cui è necessario passare (i richiami a giornali francesi oggi chiusi, pietanze che non si cucinano più, la possibilità di fumare nei locali, le macchine d’epoca e tutto quello che nel 1974 era normale e oggi o non lo è o proprio non esiste più) e abile a sufficienza da usarle per puntellare un film che ha tutto un altro obiettivo, Belle Epoque narra il viaggio del suo protagonista, prima a disagio nel presente, poi eccitato dal passato e infine desideroso di migliorare la propria vita. Lo fa ovviamente con il grande potere quasi taumaturgico della finzione nelle nostre vite: vivere qualcosa di apertamente falso che tuttavia smuove qualcosa di vero che implora di essere risvegliato. Facendo questo riesce a far accadere la stessa cosa dentro allo spettatore.

Continua a leggere su BadTaste