Cannes 72 - Belle Epoque, la recensione
A partire da uno spunto di grande successo nella storia del cinema, Belle Epoque tira fuori un film completo, dolcissimo e divertente, un capolavoro di scrittura pop
La scelta del protagonista (un cauto e ammirabile Daniel Auteuil) cade sul 1974, il momento in cui conobbe la moglie. La forzatura implausibile è che tutto sia davvero ricostruito bene e nonostante la falsità da cinema sia esposta (le luci sopra la testa, le pareti di cartapesta), più il protagonista vive quella finta giovinezza più il protagonista ci crede, più i sentimenti riemergono e la ricostruzione diventa coinvolgente. In mezzo ci sarà la storia del regista, preso in una storia difficile con la sua prima attrice che qui interpreta la versione giovane della moglie del cliente (Doria Tillier, di una bellezza devastante). Questo continuo rimando al presente (di cui siamo al corrente solo noi e non il protagonista), invece che appesantire il film è invece il segreto del suo successo, un punto di forza potentissimo.
Consapevole delle ruffianerie su cui è necessario passare (i richiami a giornali francesi oggi chiusi, pietanze che non si cucinano più, la possibilità di fumare nei locali, le macchine d’epoca e tutto quello che nel 1974 era normale e oggi o non lo è o proprio non esiste più) e abile a sufficienza da usarle per puntellare un film che ha tutto un altro obiettivo, Belle Epoque narra il viaggio del suo protagonista, prima a disagio nel presente, poi eccitato dal passato e infine desideroso di migliorare la propria vita. Lo fa ovviamente con il grande potere quasi taumaturgico della finzione nelle nostre vite: vivere qualcosa di apertamente falso che tuttavia smuove qualcosa di vero che implora di essere risvegliato. Facendo questo riesce a far accadere la stessa cosa dentro allo spettatore.