Cannes 71 - Under The Silver Lake, la recensione

Fondato prima di tutto sul cinema e le sue regole, sulle storie intorno a Los Angeles, e solo poi sulla sua trama Under The Silver Lake arriva a stufare prima di ritrovare il suo senso

Critico e giornalista cinematografico


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Misteri dentro misteri dentro misteri dentro misteri, mentre Under The Silver Lake indaga una sparizione, scoprendo cospirazioni che nemmeno nei sogni più sfrenati dei matti più matti potrebbero esistere, attraversa Los Angeles, non quella vera ma quella costruita dai film.
La città in cui tutto è ambientato e che in ultima analisi è l’oggetto vero dell’indagine del film, l’ha creata il cinema in decenni di evoluzione, è il prodotto di film diversi che l’hanno raccontata seguendo direzioni e spiriti differenti, look differenti e toni differenti.
La mitologia intorno ad essa infatti è grandissima e qui pare non mancare niente: la Los Angeles dei colori saturi dei musical rimessa in scena da La La Land, la Los Angeles stonata della droga, quella che incrocia l’industria dello spettacolo con l’assurdità di Maps To The Stars e quella delle allucinazioni oniriche di Mulholland Drive, quella paradossale in cui tutto è grottesco e ridicolo di Il Grande Lebowski (nessuno si salva, nessuno ha un senso, nessuno è escluso dal ridicolo) e soprattutto quella dei neo noir losangelini, pieni di complotti e violenza, intimamente legati ad Hollywood da La Dalia Nera a L.A. Confidential.

David Robert Mitchell dopo aver rivoltato lo slasher come un guanto, esplicitando quello che solitamente è implicito con It Follows, qui fa lo stesso non con un genere ma con una città. Il protagonista conosce una ragazza che poco dopo scompare, ne è così attratto (ed è anche attratto da codici, misteri e complotti) che inizia ad indagare, entrando in contatto con una comunità di complottisti dalle tesi sregolate che piano piano iniziano a dimostrarsi vere. Ci sono messaggi subliminali, codici da svelare e segreti veicolati dalla pop culture ovunque nella città che è il regno della pop culture. Canzoni, riviste, film e videogiochi, ovunque ci sono indizi e per risolvere gli enigmi serve conoscere tutto, un gioco contenuto in una scatola di cereali se sovrapposto ad una certa pagina di un certo numero di una certa rivista rivela tutto, ma anche le parole delle canzoni e le annate dei film.

Non è impermeabile alla comicità tutto questo, anzi, non si menziona né si vede mai la droga ma il viaggio di Andrew Garfield è stonato come da un trip ordinario e sotto controllo, tutto motivato da un’attrazione irrefrenabile per una donna che ha appena conosciuto ma che lo attira irrazionalmente. Come nei noir classici è la tensione verso il sesso femminile che porta un uomo per bene a perdere tutto, come in Vizio Di Forma (il film in assoluto cui Under The Silver Lake più somiglia, anche se non si avvicina alla sua asciutta perfezione) il mood è attutito, molle e folle, i misteri sembrano non finire mai, l’indagine potrebbe anche essere eterna e niente ha davvero senso in quel luogo in cui pare che le persone vadano a perdersi dietro a filosofie new age, mitologie assurde e sette segrete.

Nonostante alcuni momenti in cui raggiunge uno zenith di senso e perfezione impeccabile, in cui il grottesco a braccetto con l’assurdo dice qualcosa di verissimo (la visita alla villa dell’autore di tutta la musica di successo) troppo presto Under The Silver Lake mostra un po’ di stanchezza. Fondato sulla ripetizione e sul rilancio sempre maggiore di misteri e codici, non riesce a tenere l’interesse alto tutto il tempo e nonostante le impennate ravvivino l’attenzione, l’impressione è che nuoti in acque calme troppo a lungo (cosa che Vizio di Forma non faceva mai, perché in ogni scena si respirava un mood romantico e disilluso, innamorato e destinato all’infelicità), fino a che non arriva ad un finale che riprende per le redini il cuore del film, ovvero il suo essere un noir, e ritrova il senso di tutto in una videochiamata.

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