Cannes 71 - Troppa Grazia, la recensione

Con uno spunto fenomenale ed un esito sconfortante, Gianni Zanasi non riesce a fare di Troppa Grazia un film equilibrato

Critico e giornalista cinematografico


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Pochi, pochissimi, forse addirittura nessuno potrebbe contestare che Gianni Zanasi ha un talento invidiabile e in un certo senso prezioso per il cinema italiano. Molti però possono concordare su quanto poco questo talento per racconti fuori dal comune, storie originalissime e un umorismo che non dipende quasi mai dalle gag ma da una mesta maniera con la quale i suoi personaggi prendono atto di quel che accade, riesca ad essere contenuto in film che possano dirsi realmente compiuti. Troppa Grazia, di nuovo, ripropone l’eterno dilemma di un autore che scrive e dirige benissimo ma che si perde con una facilità disarmante.

Ad un’ingegnere appare la Madonna. Ma non le appare come accade in Il Cattivo Tenente, con quella forza mistica terribile e potente, con il senso del sacro e del rivelatorio, le appare anzi in modo talmente ordinario che inizialmente la scambia per una migrante, almeno fino a che non capisce di essere l’unica a vedere quella donna che si definisce la madre di Gesù. Solo un regista che ha una misura perfetta dei toni e un equilibrio di scrittura delicato poteva rappresentare bene, in modo divertente e stranamente convincente, il fatto che la Madonna, una volta imposto alla protagonista di costruire una Chiesa là dove un’impresa più grande vuole fare un edificio di moderna architettura, è costretta anche a riempirla di botte visto che lei si rifiuta di obbedire.

Con un’ex abbastanza scemo (“Ma ti senti quando parli?” - “Non sempre, ogni tanto mi distraggo”) da cui ha una figlia (Elio Germano), la protagonista scivola in un gorgo in cui la domanda fondamentale è la stessa che si trova in molti film di Zanasi e che pone bene Valerio Mastandrea nel suo capolavoro, Non pensarci: “Ma non stavamo meglio quando ci raccontavamo un sacco di cazzate?”. La falsità e la menzogna come unica salvezza e invece la scoperta della verità come una tragedia che non porta nulla di buono.

Purtroppo però più avanza più Troppa Grazia sbanda e diventa meno concreto. Una volta presentati per bene i personaggi e la situazione, non ha la forza e la decisione necessarie per andare dritto al punto e comincia a vagare senza una meta, fino ad un finale quantomeno discutibile. Serve addirittura a poco un’Alba Rohrwacher in grandissima forma, che anima benissimo questo personaggio indaffarato, sempre ad un passo dal perdersi i pezzi, con una figlia non molto più giovane di lei con la quale ha un rapporto molto spontaneo e diretto. Lei davvero sembra credere nel film e senza dubbio ne migliora il livello (qualsiasi altra attrice avrebbe rischiato in un attimo di trascinare tutto nel ridicolo), ma più di tanto, ovviamente, non può fare.

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