Cannes 71 - Troppa Grazia, la recensione
Con uno spunto fenomenale ed un esito sconfortante, Gianni Zanasi non riesce a fare di Troppa Grazia un film equilibrato
Ad un’ingegnere appare la Madonna. Ma non le appare come accade in Il Cattivo Tenente, con quella forza mistica terribile e potente, con il senso del sacro e del rivelatorio, le appare anzi in modo talmente ordinario che inizialmente la scambia per una migrante, almeno fino a che non capisce di essere l’unica a vedere quella donna che si definisce la madre di Gesù. Solo un regista che ha una misura perfetta dei toni e un equilibrio di scrittura delicato poteva rappresentare bene, in modo divertente e stranamente convincente, il fatto che la Madonna, una volta imposto alla protagonista di costruire una Chiesa là dove un’impresa più grande vuole fare un edificio di moderna architettura, è costretta anche a riempirla di botte visto che lei si rifiuta di obbedire.
Purtroppo però più avanza più Troppa Grazia sbanda e diventa meno concreto. Una volta presentati per bene i personaggi e la situazione, non ha la forza e la decisione necessarie per andare dritto al punto e comincia a vagare senza una meta, fino ad un finale quantomeno discutibile. Serve addirittura a poco un’Alba Rohrwacher in grandissima forma, che anima benissimo questo personaggio indaffarato, sempre ad un passo dal perdersi i pezzi, con una figlia non molto più giovane di lei con la quale ha un rapporto molto spontaneo e diretto. Lei davvero sembra credere nel film e senza dubbio ne migliora il livello (qualsiasi altra attrice avrebbe rischiato in un attimo di trascinare tutto nel ridicolo), ma più di tanto, ovviamente, non può fare.