Cannes 71 - Three Faces, la recensione
Inarrestabile Jafar Panahi, con Three Faces continua a raccontare di rinterzo e con strana leggerezza come si vive in Iran se non si rispettano le regole
Three Faces è il racconto di un viaggio di Panahi e dell’attrice Behnaz Jafari in un territorio al confine con la Turchia, per indagare su un videomessaggio con suicidio arrivato alla seconda. Loro interpretano se stessi, la storia è di finzione.
La ragazza che sembra impiccarsi nel video incolpa l’attrice di non averla aiutata nonostante le molte richieste, lei non ricorda di averne ricevute e non crede troppo alla veridicità del tutto. Arriveranno in un paesino sperduto in cui in piccolo sembrano ricrearsi quelle dinamiche di oltraggio e disprezzo della cultura per motivi religiosi che subisce Panahi a livello nazionale.
Nonostante la ponderatezza del tema è tutto vissuto con il passo della scampagnata, Three Faces sembra cercare sistematicamente la leggerezza in un contesto che non la meriterebbe. Ma non è la sola cosa che trova lì. Quello di Panahi sembra quasi un viaggio alle radici del fare cinema come atto di rottura necessario, in un luogo in cui diventare un’attrice è un’impresa trasgressiva perché implica studiare, evolversi, migliorare e “non avere testa” (l’espressione usata più volte per denigrare le donne che non ubbidiscono).