Cannes 71 - Three Faces, la recensione

Inarrestabile Jafar Panahi, con Three Faces continua a raccontare di rinterzo e con strana leggerezza come si vive in Iran se non si rispettano le regole

Critico e giornalista cinematografico


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Jafar Panahi da quando è confinato e punito dal regime di cui non rispetta le regole (al momento gli è proibito di uscire dall’Iran per 20 anni) adotta un tono più leggero, non disdegna la commedia ed evita come può l’austerità. Non dovrebbe nemmeno girarne di film (almeno fino a qualche anno fa anche questo gli era proibito) e invece lo fa lo stesso, con mezzi di fortuna, attori amici, parenti e spesso se stesso nella parte di se stesso. L’obiettivo è sempre quello di raccontare come si vive in Iran se non si rispettano le regole (fatto non rispettandole).

Three Faces è il racconto di un viaggio di Panahi e dell’attrice Behnaz Jafari in un territorio al confine con la Turchia, per indagare su un videomessaggio con suicidio arrivato alla seconda. Loro interpretano se stessi, la storia è di finzione.
La ragazza che sembra impiccarsi nel video incolpa l’attrice di non averla aiutata nonostante le molte richieste, lei non ricorda di averne ricevute e non crede troppo alla veridicità del tutto. Arriveranno in un paesino sperduto in cui in piccolo sembrano ricrearsi quelle dinamiche di oltraggio e disprezzo della cultura per motivi religiosi che subisce Panahi a livello nazionale.

Nonostante la ponderatezza del tema è tutto vissuto con il passo della scampagnata, Three Faces sembra cercare sistematicamente la leggerezza in un contesto che non la meriterebbe. Ma non è la sola cosa che trova lì. Quello di Panahi sembra quasi un viaggio alle radici del fare cinema come atto di rottura necessario, in un luogo in cui diventare un’attrice è un’impresa trasgressiva perché implica studiare, evolversi, migliorare e “non avere testa” (l’espressione usata più volte per denigrare le donne che non ubbidiscono).

Non siamo dalle parti né dei suoi film più duri, né di un piccolo gioiello (anch’esso molto leggero) come Taxi Teheran. Qui non c’è quella sottile maniera di usare personaggi anche occasionali e piccole conversazioni per prendere in giro o raccontare le ingiustizie con più forza di come non accadrebbe mettendole in scena drammaticamente. Panahi sceglie ancora una volta di lavorare di rinterzo ma stavolta è meno efficace.

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