Cannes 71 - The House That Jack Built, la recensione
Provocatorio, autoriferito, smaccato e così superficiale da non parlare a nessuno se non al suo autore, The House That Jack Built è il punto più basso di Von Trier
Nella storia di un serial killer che uccide le sue vittime senza nessun timore della legge o di essere catturato e poi le congela e impaglia, le fotografa in quadretti kitsch e cerca di fare dell’arte dai suoi omicidi, c’è la più scontata delle metafore dell’artista, costretto a lavorare con cadaveri (gli attori), in perenne dolore da creazione e incapace di vivere senza fare arte/uccidere. La coincidenza del verbo shoot che significa sparare/riprende immagini poi non la si cita nemmeno per raggiunti limiti di ripetizione.
A condire il tutto c’è la grande efferatezza degli omicidi, le immagini scioccanti (o almeno tali per un pubblico digiuno di horror moderni) e le provocazioni più tipiche. Il protagonista porta la famigliola al parco e all’improvviso dà la caccia a moglie e figli, lo vediamo sparare e far saltare teste e arti ai bambini poi imbalsamarli male, per metterne in risalto la componente macabra e difficile da guardare. Sarebbe fantastico in un horror, sarebbe stupendo in un film che sappia dargli un senso, sarebbe disturbante in uno in cui l’abiezione morale sia la cifra di tutto o anche solo qualcosa che il regista stesso guarda con onesto orrore ma è triste e puerile in quest’opera che cerca in tutti i modi di farsi notare, di attirare attenzioni se non con la qualità almeno con la quantità. E se qualcuno avesse ancora dubbi sul parallelo tra protagonista e autore a fugarli definitivamente arriverà un montaggio di scene efferate da vecchi film di Von Trier nel momento in cui si parla di violenza.
Il problema insomma non è certo la violenza, né che il regista parli di sé (tutti i film migliori in qualche modo lo fanno), ma che dietro ciò non ci sia quella capacità di andare così a fondo e toccare corde così intime e complesse da poter risuonare anche dentro chi regista o artista non è e quella storia la sta solo guardando, ritrovandoci sorprendentemente i propri fantasmi. The House That Jack Built è però così superficiale che solo Von Trier stesso può godere di questo paragone e immedesimarsi. E che questo accada per due ore e mezzo, lungo le quali ripete sempre le medesime argomentazioni per giustificare sé e la propria crisi, è non solo artisticamente ma umanamente inaccettabile per lo spettatore.