Cannes 71 - Burning, la recensione
Con un attacco formidabile e una trama che non riesce a levarsi di dosso il passo da romanzo, Burning è riuscito a metà
Jeon Jong-seo recita la parte della ragazza con una serie di sguardi, una concretezza ma anche una latente voglia di superficiale divertimento e nessun’ombra di girl power che sono pazzesche. Puro edonismo giovanile, libertà e nessun sentimento, solo desiderio immediato. In questo film tratto da un romanzo di Murakami sarà il momento di cinema più concreto. Andando avanti infatti Burning lascia emergere sempre di più la sua natura romanzesca. Del libro ha proprio l’intreccio, i dialoghi e la maniera in cui sono disegnati i personaggi. Inevitabilmente tutto ciò lo frena.
Molto spesso si ha infatti l’impressione che la fattura di quest'opera così lontana da Oasis o Poetry sia superiore alle intenzioni e al pensiero dietro al racconto. La classe agiata coreana fatta di mostri, l’onestà di un ragazzo di campagna con aspirazioni intellettuali e la vacuità di chi si trova in mezzo non sono proprio il massimo. Semmai il massimo è come aderiamo al punto di vista dell’aspirante romanziere, catapultato in luoghi, case e posti in cui non è mai stato e che esplora con la curiosità dell’entomologo. Ogni cosa che vede, ogni cassetto che apre, ogni espressione che coglie sul volto altrui ci dicono qualcosa di molto chiaro, la stessa che pensa lui. Così non ci sarà mai bisogno di esprimere a parole i suoi pensieri, perché sono anche i nostri.