Cannes 70: Wonderstruck, la recensione

Wonderstruck stupisce ma non colpisce. La storia va sui suoi binari, il regista si appassiona a tutto quello che non gli è funzionale

Critico e giornalista cinematografico


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In un film pieno di musica sia originale che non originale si muvono due personaggi sordi, una che lo è dalla nascita e che scappa a New York in cerca di una diva del muto nel 1927 (l’anno dell’arrivo del cinema sonoro), e un altro che sordo lo diventa per un incidente e anche lui scappa a New York alla ricerca di un padre ma nel 1977. Vediamo le storie alternate, la prima messa in scena come un film muto (anche se in realtà non è proprio così, lo stile delle inquadrature è molto moderno e quando gli serve Haynes ricorre al dialogo) e la seconda con la pasta e i colori appropriati alla sua epoca in una ricostruzione fantastica del Queens.

Il centro di tutto sarà la cultura museale e in particolare il Museo di Storia Naturale di New York, che qui ha la medesima funzione che aveva il cinema nell’altro film tratto da un libro di Selznick, Hugo Cabret: unisce, appassiona, commuove prima i protagonisti e poi il pubblico. Una forma culturale che diventa il collante tra gli esseri umani. Tuttavia l’impressione è che Haynes non sia il cineasta giusto per questa storia, tutto il meglio del film infatti, le parti più esaltanti e le soluzioni più sofisticate, non accrescono mai la storia né sono finalizzate al suo esito, ma sembrano più lavorare per sé.

Il regista di Io Non Sono Qui continua a mostrarsi appassionato del montaggio incrociato di più storie, qui stacca tra il 1927 e il 1977 nei momenti meno prevedibili, creando moltissime associazioni per giustapposizione di immagini che fanno sognare. Abbina le transizioni per concordanza, per opposizione e alle volte seguendo un istinto illogico eppur esaltante. Come del resto è fantastica la maniera in cui si appassiona alle difficoltà di comunicazione. In Wonderstruck è sempre difficile comunicare (complice la sordità) e proprio quando le emozioni si avvicinano all’apice Haynes alza le barriere comunicative, fa faticare i propri personaggi a farsi capire. Per tutte queste ragioni Wonderstruck lascia in bocca il sapore dei film migliori ma non riesce a lavorare sulla trama, anzi quando ci prova, quando cioè insiste sul rapporto con la cultura museale tutto sembra arrestarsi e il film finisce in un pantano in attesa della prossima trovata del suo regista.

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