Cannes 70 - Top of the Lake: China Girl, la recensione dei primi due episodi

Top of the Lake: China Girl potrebbe essere la terza stagione mai fatta di True Detective.

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
TV

Più che la seconda stagione di Top of the Lake, questo China Girl sembra il sequel, perché non ne è la continuazione perfetta ma una versione più radicale verso il genere, una con “more of the same”.

Se la prima era un giallo di grande atmosfera, molto decostruito nella sua struttura e talmente pieno di digressioni nella vita privata che si faceva fatica a rintracciare le coordinate base del thriller (ed era uno dei suoi pregi), questa seconda, sempre scritta da Jane Campion e Gerald Lee, comincia invece in maniera più canonica, con una scena di mistero, qualcuno che spinge una valigia giù da una scarpata. Questa valigia si deposita sul fondo del mare e, lo vediamo da alcuni capelli che escono, contiene una persona. Alla fine del primo episodio verrà ritrovata dalla polizia mettendo ufficialmente in moto l’indagine.

Si tratta della medesima dinamica aurea che regge anche il primo episodio di Twin Peaks (stagione 1) e che da lì è un classico: gettare le basi umane e personali nel corso della prima puntata e solo alla fine dare il calcio d’inizio all’intreccio.

Qui c’è anche un piccolo riassunto di “cosa è successo nel frattempo”, nel tempo cioè che ci separa dalla fine della prima stagione. Una faccenda che viene sbrigata in poco tempo e con una certa semplicità ad un tavolino di un bar tra la detective Robin Griffin, sempre interpretata da Elizabeth Moss, e il suo nuovo capo: “Quindi cosa hai fatto in questi anni?”. Proprio così, exposition pura.

Questo momento però introduce anche un altro elemento forte di differenza con la prima stagione. Mentre quella era una storia di solitudine, in cui la detective sembra agire quasi sempre da sola, o con aiutanti esterni, una specie di lupo solitario del sistema, qui è molto più inserita nella polizia, ci sono molte più scene con gli altri poliziotti. Subito la vediamo fare un training a degli agenti e ovviamente subito la vediamo discriminata per essere donna. Viene derisa perché deve insegnare a degli uomini a difendersi, viene sminuita quando parla di essere stata assalita sessualmente alla fine della scorsa stagione (sostengono che non fosse proprio sicuro che la volessero assalire). Sembra insomma Debra Morgan, la sorella di Dexter, una donna in un mondo di uomini che necessariamente ragiona, parla e si atteggia come loro, forzando la propria natura, eppure lo stesso non è trattata come loro.

Il nuovo contesto molto meno a cielo aperto (ma parliamo solo dei primi due episodi) e molto più d’ufficio introduce però la più piacevole delle variazioni: Gwendoline Christie. L’attrice che nel Trono di Spade interpreta Brienne di Tarth qua è una giovane agente con il mito di Robin. Lei, le sue azioni, la sua durezza, la capacità di risolvere il caso al centro della precedente stagione e come ha gestito quel complicato finale violento, la adora con un semplicismo da paesanotta. Ingenua e molto gentile (cosa non facile per una poliziotta), inesperta e naive, sembra una personalità dolcissima in quel corpo da gigantessa su cui la serie lavora benissimo. L’indizio più promettente di tutti, il personaggio che vorresti vedere coinvolto in ogni scena.

Non ci sono dubbi che nelle prime due ore sia lei il personaggio più bello e ogni volta che è in campo accadono cose divertenti, interessanti e anche visivamente impegnative. Solo l’averla accanto a Elizabeth Moss, la prima così grossa e la seconda così piccola, la prima gentile, la seconda dura è un contrasto che funziona immediatamente.

Potrebbe essere la terza stagione mai fatta di True Detective

Perché Top Of The Lake: China Girl funziona proprio come un poliziesco maschile, un buddy movie con una coppia che pare male assortita invece (sembra di capire) farà squadra contro tutti: il detective con la vita privata rovinata e i fantasmi interiori (un flashback di un mese prima dei primi momenti della puntata rivela com’è finita con Johnno) e la sua spalla ingenua con gli occhi pieni di speranza. Potrebbe essere la terza stagione mai fatta di True Detective.

Solo che al posto del whisky c’è la maternità (come del resto anche nel precedente) c’era un feto nella ragazza morta nella valigia, ci sono diverse persone che aspettano un bambino e c’è la maternità nella testa di Robin.

Quello che non riconosciamo allora è l’atmosfera. Non ci sono dubbi che China Girl parta bene e imbastisca alla grande la nuova trama, in maniera appassionante e incalzante. Ci sono diversi personaggi secondari promettenti e tutto appare instradato sui binari migliori, ma quello che era il vero segreto della prima stagione, quel senso nebbioso di umido fastidio, quella specie di scomodità dello stare al mondo, voglia di abbandonare quei luoghi e sensazione che faccia tutto schifo non c’è. Anzi, con l’ingresso di una parte di trama sulla figlia di Robin (che lo stupro della prima stagione avesse dato origine ad una figlia già lo sapevamo), arrivano anche dei bei giorni di sole.

Messo quindi in secondo piano lo sfondo (anche se pare tautologico) emergono gli attori. Si è già detto di Gwendoline Christie e di come abbia ribaltato benissimo il proprio stereotipo fondato con Il Trono di Spade, senza ignorare il proprio fisico (per un’attrice simile è impossibile fare finta che non sia quello che è) e sfruttandolo in un’altra maniera, ma anche Nicole Kidman sembra in grandissima forma. Con una dentiera che un po’ le modifica il volto, qualche chilo di meno e i capelli grigi appare qui più adatta ad ogni scena ed ogni interazione di quanto non sia sembrata negli ultimi 5 anni di cinema.

Questo è recitare bene in una serie, affrontare un personaggio con una coerenza pazzesca anche nelle variazioni

Tuttavia quando, arrivati alla fine del secondo episodio, Robin incontra sua figlia in un bar Elizabeth Moss rimette la chiesa al centro del villaggio e regala un momento di grandissima vera recitazione, delicatissima. Sembra quasi cambiare il proprio corpo, diventare più piccola e fragile, offre una debolezza in modi che non crederemmo possibili per quel personaggio e invece rimangono coerenti. Questo è recitare bene in una serie, affrontare un personaggio con una coerenza pazzesca anche nelle variazioni.

La sola presenza nell’industria audiovisiva di quest’attrice fenomenale dimostra da sola l’assurdità del sistema in cui vivevamo solo qualche anno fa, quello che non avrebbe mai fatto lavorare con questa centralità un’attrice così “non bella”. Il solo pensiero di quello che ci saremmo persi è il gesto più forte di attivismo femminista di queste prime due puntate.

Continua a leggere su BadTaste