Cannes 70: The Meyerowitz Stories, la recensione

Con alcuni dei personaggi migliori che si possano presentare The Meyerowitz Stories imbastisce una storia divertente che però fallisce ogni ambizione

Critico e giornalista cinematografico


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Un padre che fa il figlio con suo figlio, e una figlia che fa da madre a suo padre, questo intreccio familiare è quello che regge The Meyerowitz Stories, cioè come nella famiglia Meyerowitz, comandata dall’egoista patriarca Dustin Hoffman, scultore di buon successo ma di certo non noto o famoso (e di questo non si fa una ragione), i figli siano tutti adulti irrisolti, sia quando professionalmente di successo come Ben Stiller, sia quando professionalmente inesistenti come il musicista mancato di Adam Sandler, sia ancora quando normali impiegate come Elizabeth Marvel. Tutti pendono dalle labbra di questo padre che devono trattare come un figlio, arginandone le bizze e i desideri, discutendo per il suo atteggiamento, assecondandone le paturnie, e tutti sembrano accuditi dai propri di figli.

Come spesso accade nei film di Noah Baumbach proprio qui sta il meglio, nel setting e nella caratterizzazione dei personaggi, cioè cosa sono, dove abitano, che fanno nella vita e che carattere hanno. In questo che non è certo un dettaglio Baumbach è maestro. I Meyerowtiz sono una versione meno clamorosa e roboante dei Tenebaum ma con loro condividono intrecci e rapporti complicati. Ancora di più il film sembra funzionare davvero quando ne riafferma le caratteristiche individuali piuttosto che quando cerca di farli evolvere.

I tentativi patetici o di successo di superare i propri difetti o le loro empasse danno vita alle parti più scontate e annacquate del film. Invece quando i Meyerowitz rimarcano il proprio stereotipo, quando fanno quello che ci aspettiamo facciano, quando sembrano non riuscire a scappare al carattere che li ha condannati per decenni, lì si vedono autentici scampoli di tragedia umana messa in commedia grottesca. Nel ridicolo di Harold, il patriarca che interrompe tutte le frasi degli altri per parlare di sé, o nella rabbia automobilistica di Sandler, non c’è la continua ripetizione della medesima scena, ma piccole variazioni, lotte interne, movimenti piccoli che gettano squarci di sincerità.

Purtroppo The Meyerowitz Stories non è tutto così, ha un intreccio molto ben definito e punta a raccontare un percorso per ognuno, un arco narrativo canonico che li porti altrove rispetto a quando li abbiamo incontrati e nel fare questo mostra una goffagine non sconosciuta ai film precedenti di questo regista. Se Giovani Si Diventa rimane forse l’esperimento più concreto in assoluto e Mistress America il più velleitario, The Meyerowitz Stories, nonostante sia un film davvero divertente, davvero ben recitato e godibilissimo, lo stesso è il più fallimentare. Perché non riesce mai a fare quel che vorrebbe ed eccelle quando sembra rinunciarci.

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