Cannes 70: The Day After, la recensione

Controllatissimo come sempre e teso a nascondere i sentimenti con una mano mentre l'altra li lascia passare, The Day After è un grande Hong Sangsoo

Critico e giornalista cinematografico


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Lo stile di Hong Sangsoo è brutale come il suo montaggio. Il suo naturalismo è radicale e quasi violento per come stride con la retorica solita del cinema. Le sue luci e i suoi colori sono un pugno se associate a delle trame che, nonostante siano sempre veicolate principalmente dai dialoghi, presentano intrecci tipici da racconti di finzioni. Come se trascinasse la storia sull’asfalto generando scintille, questo regista coreano di una coerenza impressionante è un maestro dei sentimenti nascosti, mostrati con pudore.

The Day After con lo stile tipico di Hong Sangsoo abbandona i personaggi negli ambienti che li contengono, sembra averli messi lì in punizione, inquadrati con un’apparente ignavia che lentamente si fa correttezza. Questo avviene mentre si snoda la storia come sempre di una ragazza a contatto con l’assurda difficoltà d’essere donna. Il capo per il quale lavora da un giorno è un fedifrago impenitente, la moglie lo ha beccato ed è convinta che lei sia l’amante. Inizia così una requisitoria che porterà al licenziamento ingiusto di lei per coprire la vera storia e poter, paradossalmente, assumere la vera amante al suo posto, avendo così anche la moglie convinta di aver allontanato la minaccia.

In un inusuale bianco e nero questi personaggi si vomitano odio e mostrano le rispettive piccolezze in dialoghi serrati, con una particolare tensione verso la religiosità. Tra il tradimento, la tensione sessuale di cui tutti parlano ma che non vediamo né sentiamo mai, grazie ai toni algidi di Hong Sangsoo e l’altra tensione, quella religiosa, ugualmente raccontata ma mai fatta sentire, di nuovo questo cineasta coreano cerca di mettere sullo schermo la vita vera e la maniera in cui nasconde ogni cosa.

Invece che fare come fa il cinema infatti, invece di svelare e mette in mostra quel che solitamente le persone celano gelosamente, Hong Sangsoo lascia che i propri personaggi abbiano un atteggiamento (anch’esso) naturalista, che non mettano in mostra niente ma provino in ogni modo a nascondere quel che sentono. Non è per tutti ma il mistero di come questo cineasta riesca a far passare nelle maglie di un simile rigore ciò che altri lasciano passare a suon di urla o immagini roboanti è affascinante.

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