Cannes 70: The Beguiled, la recensione

Adattato sempre dal romanzo che aveva dato vita al film con Clint Eastwood, The Beguiled nelle mani di Sofia Coppola non cambia la storia ma tutto il resto

Critico e giornalista cinematografico


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Non c’era bisogno di iniziare la proiezione della versione Sofia Coppola di La Notte Brava Del Soldato Jonathan, il film del 1971 con Clint Eastwood e diretto da Don Siegel (tratto da un romanzo di southern gotic), per sapere che questa sua versione ne sarebbe stata il controcampo. In quel film un soldato sudista ferito viene accolto in una casa abitata solo da donne di tutte le età (bambine, adolescenti, adulte), riparate e sole durante la guerra. L’uomo viene da loro curato e risveglia in tutte sentimenti, desideri sessuali e aspirazioni di libertà ma anche invidie e cattiverie che tramuteranno quello che poteva essere un paradiso in un inferno. La trama della versione 2017 è (quasi) la stessa, il tono invece opposto. Non è il soldato Jonathan la vittima ma le donne, anzi le ragazze.

Sofia Coppola è una cineasta con un punto di vista unico. Non solo originalissimo e immediatamente riconoscibile ma anche di impressionante coerenza, uno che le consente di leggere come nessun altro le trame, le storie e i personaggi. Di fatto il solo abbinare il suo nome ad una certa trama porta lo spettatore, da solo, a piegarla e rileggerla in “chiave Coppola” prima ancora di vedere come l’abbia fatto lei. Anche nei film che riescono meno.
Sempre dalla parte delle ragazze, possibilmente ricche o benestanti, ne racconta la prigione sociale, sentimentale e giovanile, ne mette in scena le tensioni con una partecipazione sempre encomiabile, schierandosi senza se e senza ma con loro, facendo apparire gli equivalenti tentativi degli altri cineasti come autentici fallimenti.

Qui una storia che riusciva a tramutare un melodramma da camera in un western, in cui un uomo solo si “batte” con delle donne che sono amputatrici, incestuose frequentatori di fratelli e demoniache vittime d’invidia, viene restituita al suo reame originale. Sofia Coppola rimette la donna al centro di questa storia sentimentale e sa bene anche quale tra le molte.

Tra le diverse abitanti della casa è con Kirsten Dunst che si schiera, la trentenne dal passato sfortunato, precettrice in quella specie di istituto comandato da Nicole Kidman. Benché capisca e adori le pulsioni irrefrenabili dell’adolescente Elle Fanning (incapace di trattenere anche solo uno sguardo), sappia dare le sue ragioni all’adulta che tutto regge e che stoicamente sembra resistere ad un risveglio sentimentale a lungo atteso e infine paia capire come poche lo sguardo delle bambine verso quell’uomo bello e forte, è con la più fragile della storia che si schiera.

In questa versione di The Beguiled in cui l’atto più violento della trama, quello che prima era una specie di vendetta, diventa una decisione inevitabile e manca il ricordo incestuoso, cioè in cui in buona sostanza le donne sono totalmente assolte, quel che colpisce è il modo in cui il finale tragico non sia urlato ma denso di un sommesso senso di sconfitta che rende ben chiaro come mai proprio la Edwina di Kirsten Dunst sia la prediletta della narratrice, perché tra tutte lei è l’unica a desiderare tramite quell’uomo un’altra vita, una libertà, una fuga. Il cancello della villa non è una barriera che protegge dalla guerra ma sbarre che tengono prigioniere le donne delle convenzioni.
Peccato allora che il film, girato su toni impeccabili, abbia il solo difetto di ricorrere ad un’inspiegabile fretta e faccia passare i suoi personaggi da calmi a furiosi in uno stacco di montaggio, voglia correre anche dove non ce n’è bisogno perdendosi per strada snodi e tensioni di cui lo spettatore vorrebbe godere un po’ di più.

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