Cannes 70: L'Amant Double, la recensione
Vecchio nella concezione, nella trama e nella visione del rapporto tra corpi, L'Amant Double è un thriller psicologico che risulta solo puerile
Dopo cioè che Paul Verhoeven ha rimesso in gioco le carte dei legami tra sesso, psicologia e thriller al cinema, puntando su una nuova visione del rapporto della donna con il proprio corpo, la propria sessualità e la maniera in cui la società la concepisce, quello che Ozon mette in scena appare ancora più vetusto, superato, noioso e puerile di quanto non sarebbe apparso anche solo un anno fa.
Il regista francese in primis manca l’obiettivo della tensione, nonostante tenga tantissimo ad animare la presenza di un mistero, cioè del fatto che la sua protagonista, innamoratasi dello psichiatra che l’ha curata scopre e incontra il gemello nascosto di quest’uomo. Se con lo psichiatra vive una storia d’amore quieta e domestica, con il gemello sessualmente disinibito sperimenta e si spaventa, osa e finisce in un vortice di violenza e ardore, in cui i sogni giocano una parte importante. Ma chi è questo gemello di cui pare non si possa parlare? Che è successo nel loro passato con Sandra?
Il corpo femminile per L’Amant Double è quello della vittima dell’horror, un corpo che scatena desiderio e teme di subire la possessione, uno che è in pericolo perché attraente. Oggi invece il corpo della donna al cinema è potente e dominante, se ha problemi o vive situazioni pericolose non lo fa da vittima in fuga, da povera indifesa, ma da combattente.
Come se non bastasse poi Ozon ricorre ad una serie di immagini vecchie e abusate tra le quali si distinguono per ingenuità gli abbinamenti di montaggio tra vagina occhio oppure il moltiplicarsi di specchi che riflettono le immagini dei personaggi (raddoppiandole!) e che nell’assurdo e ridicolo finale addirittura si rompono come si rompe il giogo mentale. Una follia.