Cannes 70: Jupiter's Moon, la recensione

Un rifugiato siriano che si scopre (forse) angelo guida un medico truffatore, Jupiter's Moon conquista con la forza visiva e quella del suo ritmo

Critico e giornalista cinematografico


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Che succede se ad un film di fantascienza si sottrae il futuro e lo si ambienta nel presente, se gli si sottrae la tecnologia e gli si proibisce di sfruttare il design? Cosa accade se gli si lascia solo la distopia, cioè una società in cui tutto sembra andare male e complottare contro uomini semplici che vivono e attraversano bassifondi terribili? Jupiter’s Moon in un certo senso risponde a questa curiosità che prima nessun avrebbe pensato di poter avere e nel farlo crea un piccolo ibrido tra cinema commerciale e d'autore come raramente se ne vedono, un'opera dal budget apparentemente elevato girata con i tempi del cinema d'autore.

Ai confini dell’Ungheria alcuni rifugiati della Siria cercano di entrare illegalmente in Europa quando la polizia di frontiera apre il fuoco sui loro gommoni. Gli spari sono ad altezza uomo e mietono vittime, tutti cascano morti tranne uno che anzi si solleva, vola e torna in vita rimanendone stupito per primo. È il protagonista del film che, curato da un dottore locale, verrà da questi usato come “santo”, pupazzo per fare soldi vendendo benedizioni fino a che non sarà il momento di fuggire dalla polizia che li vuole catturare se non proprio uccidere. Ma lui, per fortuna, vola ed è in grado di cambiare la gravità degli ambienti in cui è inserito, forse anche leggere il pensiero. Dicono sia un angelo.

È evidente che nella testa di Mundroczo ci sia I Figli Degli Uomini, troppi i riferimenti a quel film nello stile visivo, nei molti piani sequenza, nelle scene di attentato e nei vestiti dei protagonisti (scelta ottima ma anche limitante perchè quell'estetica così coinvolgente l'ha inventata qualcun altro). Ma è anche evidente che c’è la voglia di piegare moltissimo i generi di concepire una fantascienza del presente stretto, di ambientare qua e ora, senza metafore o allegorie quelle impossibili le stesse rivoluzioni che la fantascienza appalta al futuro. La distopia è già tra noi.
C’è insomma il paradosso del magical negro alla base del film, il personaggio tipico della narrativa americana del buon afroamericano, dotato anche di poteri magici, che rimane però sempre ai margini, servitore anche quando potente. Qui il magical negro è un rifugiato braccato, è la vittima e non il salvatore, un uomo messo al bando da un mondo che non lo vuole per quel che è.

Non c’è salvezza dalle ferite della storia” verrà detto ad un certo punto con l’aria delle frasi solenni in un film che solenne non vuole mai esserlo, anzi. Il meglio Jupiter's Moon lo dà con il suo svolgimento, proprio negli inseguimenti, nelle sparatorie in quella tenacia fantastica del dottore coprotagonista, antireligioso, bastardo in aria di riscatto che non molla mai, nel poliziotto incancrenito, in una corsa ripresa da videocamera attaccata al paraurti frontale.
Tutto sempre tenendo di sfondo il mondo infame di cui sopra, perché le storie che i generi del cinema ci raccontano non devono per forza avvenire in mondi di fantasia ma possono essere forti anche nel nostro, virati sul giallo ocra.

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