Cannes 70: Dopo La Guerra, la recensione

Determinato a portare il reale nel cinematografico e non a fare viceversa, Dopo La Guerra non presenta nessuna buona ragione per essere ricordato

Critico e giornalista cinematografico


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C’è la vera cronaca sotto falso nome in Dopo la Guerra, i fatti che ad inizio anni 2000 hanno coinvolto l’omicidio di Marco Biagi (che qui non si chiama così) e tutte quelle persone al centro del terrorismo rosso degli anni ‘70, rifugiatesi in Francia e rimesse al centro dell’interesse legale dalla fine dell’estradizione con quel paese. Infatti è uno di questi rifugiati, Marco (Giuseppe Battiston), ad essere sospettato dell’omicidio. Si è rifatto una vita oltralpe ed ha una figlia con cui decide di scappare (lei, adolescente, non vorrebbe assolutamente). Intanto in Italia la sua famiglia, che non lo vede da quando è fuggito, è vittima di pregiudizi per il cognome ritornato alla ribalta sui giornali.

Dopo La Guerra è un film che chiede allo spettatore di scandagliare ogni scena e ogni dialogo per capire che opinione abbia il film stesso sui fatti narrati (cioè sul loro equivalente reale). Il protagonista è proprio il parere del cineasta e non, per dire, quello dei protagonisti o (sarebbe ancora meglio) quello di chi siede in platea. Dopo La Guerra sembra esistere per dare un giudizio, cosa che sarebbe anche tollerabile se ci fosse una storia ma invece manca totalmente. Non solo i personaggi iniziano e finiscono allo stesso modo, non hanno una parabola, non evolvono, non cambiano, ma anche molti dei fatti raccontati non sono tali. Specie la parte italiana di trama non ha nessun senso di esistere, non si capisce cosa mostri e perché, di che parli e dove voglia andare a parare (il dramma delle famiglie dei condannati? Il pregiudizio nei loro confronti? Il simbolo del desiderio di rimozione del paese??).

Non è che questa storia delle conseguenze attuali di una violenza passata non sia interessante, anzi! Il punto è che è affrontata dal punto meno sofisticato in assoluto, quello più blando e anticinematografico. Nessuno si chiede che impatto possa avere un passato così violento nella vita dei personaggi, ci si chiede semmai che impatto abbiano le sue conseguenze legali. Dopo La Guerra insomma fa esattamente l’opposto di quel che avrebbe potuto fare un cineasta come Jacques Audiard con il medesimo materiale: invece di vedere il cinematografico nel reale (questo retaggio “di genere” come influisce nella quotidianità? Come trasfigura il nostro mondo in quello del cinema grazie alla violenza?), cerca di portare il reale nel cinematografico, facendo un film che replica le cose come potrebbero essere andate. Nel fare questo non trova mai mordente sullo spettatore e, cosa peggiore, non trova mai un senso, una ragione per mettere in piedi questa trama.

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