Cannes 70: Cuori Puri, la recensione

Agro con il contesto e dolce con i personaggi, capace di trasformare la banalità in grande verità, Cuori Puri e un film pienamente italiano e quasi perfetto

Critico e giornalista cinematografico


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Le coordinate sono quelle che conosciamo bene, quelle che il cinema d’autore predilige e in cui negli ultimi anni sembra trovare le storie più interessanti: periferia, ragazzi, un futuro che sembra non esistere, lavoretti, nessuna idea di stabilità, ostilità di tutte le istituzioni (e ostilità dei personaggi in risposta), sentimenti che cercano di farsi strada. Stefano fa il custode del parcheggio di un supermercato, controlla che gli zingari del campo adiacente non creino problemi (e ne creano!), guadagna così un po’ di soldi per evitare che i genitori (nullafacenti) vengano sfrattati; Agnese è stata cresciuta dalla madre come una fervente cattolica, piena di dogmi e lontana dal sesso in un modo che non sarà più possibile dopo aver conosciuto Stefano. Il loro incontro avviene tutto di corsa all’inizio quando lui insegue lei che ha rubato un cellulare (la madre le ha sequestrato il precedente) ma poi non ha il coraggio di fare niente altro e la lascia andare.

L’esordio di Roberto De Paolis non si distacca molto da quel che si potrebbe prevedere, anche nello stile di messa in scena si adegua alla camera a mano, alle camminate seguite da dietro, agli attori professionisti mescolati a non professionisti e ad una generale contemplazione della quotidianità prima di inserirci dentro l’intreccio di finzione. Eppure Cuori Puri, a partire dal titolo, è su un altro livello rispetto ai molti film simili che conosciamo, non ha la mestizia ripetitiva e priva di idee dei tipici esordi italiani ma anzi ha il respiro e l'arroganza di chi si impone all'attenzione degli altri con capacità che sono tutte sue.
La ricetta è semplice e tradizionale: mescolare il duro del contesto, della vita, della lingua parlata e degli atteggiamenti ostentati, con il molle dell’intimità dei personaggi, l’agro della situazione e dello stile di ripresa con il dolce dei sentimenti fino a lasciare che i due estremi si arricchiscano e radicalizzino a vicenda.

Nei casi peggiori questo melange produce o un eccesso di zuccheri che coccolano i personaggi, pretendono una lacrima e santificano il loro statuto, oppure si finisce nel territorio della freddezza; nei casi migliori esce un film così capace di far sbocciare un fiore nel cemento con grazia e abbondanza di immagini a favore delle parole, che sembra anche in grado di cambiare la maniera con cui (nel mondo reale) guardiamo quegli stessi personaggi o quei paesaggi. Questo è Cuori Puri. Credevamo che Fiore, di Claudio Giovannesi, fosse un caso isolato, invece De Paolis dimostra il contrario. Le loro sono storie che ci appartengono e così lo stile con cui vengono narrate, quello che gli dà valore e le fa passare da fattarelli a grandi avventure umane.

De Paolis ha infatti la rara abilità di centrare sia alcune delle svolte centrali della storia (la chiusa all’inseguimento finale dello zingaro sembra gridare ad alta voce il titolo stesso del film), sia dei piccoli momenti di transizione come quando i due personaggi guardano il medesimo fumo nero in lontananza, uno stacco di montaggio che, come tutto il film, fa battere il cuore per motivi che alla ragione rimangono oscuri. Lo fa fino a trasformare la banalità più gigantesca, che i protagonisti siano davvero dei cuori puri, in una verità cocente e quasi ardita!

Addirittura verso la fine un’alba problematica fatta di sangue, nudità, peregrinazioni inutili e una menzogna, tira le fila di tutto, mettendo la ciliegina sulla torta del film, con una sequenza fondata sulla capacità visiva di sintetizzare eventi, tensioni, desideri e paure senza temere di dare anche un po’ fastidio allo spettatore, di trascinarlo nella parte meno desiderabile dei suoi sentimenti.

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