Cannes 70: Blade of the Immortal, la recensione

Caotico, anarchico, violento e godereccio, Blade of the Immortal adatta il manga L'immortale ma è un film di Miike al 100%

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un po’ di Il Grinta nello spunto di Blade of the Immortal, perché c’è una bambina che chiede ad un guerriero che non conosce di vendicare la sua famiglia. Il guerriero in questione è sensibile alla materia perché è diventato immortale proprio difendendo una bambina i cui genitori aveva (erroneamente) ucciso egli stesso. L’immortalità è dunque per lui una maledizione perché avrebbe preferito morire, invece deve vivere e soffrire. Accetterà il compito e così inizia il suo calvario di sgherro in sgherro fino al grande villain. Una sorta di purificazione nelle lame e nel sangue.
Se la gode non poco Takashi Miike questa carneficina a tavolino, tratta dal manga ventennale L’Immortale di Hiroaki Samura, replicando la dimensione visiva di 13 Assassini e ampliando gli scontri in epica e assurdità.

Non ci sono però limiti per un cinema così rigoroso. Anche se Blade Of The Immortal soffre della consueta difficoltà del regista giapponese a chiudere le sue storie e tirarle al dunque, lo stesso regala un cinema di un livello di maestria superiore ad ogni media.
Girando in fretta Miike si permette il lusso di non mostrare per forza tutto ma lavora di sonoro per far credere allo spettatore di aver visto cose che invece nemmeno sono state girate. Alle volte addirittura fa accadere eventi fuori campo per poi inquadrarne solo gli esiti, lavorando di traccia audio per suggerirli. La cosa si ripete nei moltissimi scontri di spada, in cui crea un racconto fatto moltissimo di suono e immagini chiave. In ogni altro film o per ogni altro regista sarebbe un difetto, una pavidità, in Miike è solo un altro dei molti modi di creare una dimensione propria.

Si tratta infatti di solo alcune delle soluzioni che questo regista da 100 film (li ha festeggiati proprio con Blade of The Immortal) ha nel proprio bagaglio e con le quali racconta le storie di anarchia e coraggio, di codici personali che non coincidono quasi mai con quel che sembra corretto o tendiamo a pensare vada fatto.
Anche l’omicidio andrebbe fatto in maniera corretta” è la tagline vera del film, ma in quel “corretto” e nel senso che assume quando la frase viene pronunciata c’è tutto Miike e la sua etica. Non è correttezza nei confronti della società o dei nemici ma di se stesso, è la coerenza di qualcuno che non sceglie una missione ma una persona a cui affidarsi e a cui stare vicino. Il resto è caos, cambi di idea e totale nichilismo ridanciano.

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