Cannes 68 - Youth - La Giovinezza, la recensione
Continuando a girare intorno ai temi di La Grande Bellezza Sorrentino approda a La Giovinezza ma del film precedente ci sono le ambizioni e non la sostanza
Fred e Mick hanno atteggiamenti diversi rispetto alle proprie arti: mentre il regista prepara un nuovo grande film, il compositore si è totalmente ritirato e non ne vuole più sapere di tornare a dirigere le sue opere, nemmeno se è la regina d'Inghilterra a convocarlo.
L'Hotel appare come un paradiso degli artisti, un luogo in cui si va a stare come dopo la morte (artistica), in cui passa Maradona per l'appunto (l'artista che non può più essere tale) ma anche un'opera d'arte vivente come Miss Universo o un attore che si dà al cinema più commerciale, in cui c'è un distacco quasi fatale da tutte le passioni perchè manca l'arte e nel quale si compiange il tempo andato, impossibilitati a fare progetti per quello da venire. Bello e letale il ritiro sulle Alpi è una gabbia dorata che ottunde ogni passione.
Il risultato del film è semplice: ritrovando la voglia di vivere (c'è un motivo se il compositore si è esiliato) ritornerà la possibilità d'essere artista. Dietro tutto ciò però non c'è nessuna santa, nessuna scalinata impervia e nessun ricordo di una giovinezza a Capri dove tutto pareva bello, non c'è cioè niente di quello che nel film precedente di Paolo Sorrentino alimentava l'ambizione poetica di carbone narrativo e combustibile umano. La Giovinezza è un film disumano perchè lontanissimo dalle passioni e dalle sensazioni umane, tecnicamente mostruoso e formalmente splendido, risulta riempito unicamente di inspiegabile pomposità e sconfortante retorica, tutto grandi pennellate e privo di quelle minuzie espressive o di quei dettagli effettivamente sorprendenti (inaspettati e coinvolgenti) in grado di bilanciare e dare sostanza alle più eteree ricerche.