Cannes 68 - Yakuza Apocalypse, la recensione
Un film impossibile, in cui tutto sembra esistere solo per il momento in cui è in scena. Yakuza apocalypse è un delirio di divertimento e trovate demenziali
Yakuza Apocalypse non ha propriamente una trama, affianca personaggi in un grande scontro che è totalmente privo di motivazioni, eppure è contaminato di così tanto umorismo demenziale da mettere subito in chiaro che siamo qui per divertirci. E il divertimento in effetti non manca.
La quantità di ironia, battute, senso del grottesco e invenzioni che su questi presupposti basilari Miike riesce ad intavolare è incredibile. Il regista ha praticamente diviso i personaggi in due squadre per poi farli scontrare in un contesto che somiglia più ai fumetti che ai mondi costruiti dai film. Oltre ai personaggi elencati c'è il protagonista (giovane yakuza idealista, trasformato da un vecchio capo benevolo), un otaku violentissimo interpretato da Yayan Ruhain (il Mad Dog di The Raid: Redemption) e una serie di donne da salvare o trasformare.
Yakuza Apocalypse (già il titolo sembra partorito dai registi romaneschi del cinema poliziottesco italiano anni '60) può essere insostenibile se non ci si avvicina con lo spirito giusto, se non si è disposti ad apprezzare la quantità di idee demenziali e la cura pazzesca con cui il regista giapponese le mette in piedi, in barba ad ogni regola, in barba ad ogni costrizione, ogni struttura predeterminata e ogni convinzione. Miike sempre di più appare come un artista di strada del cinema: con incredibile virtuosismo e perizia tecnica, vive come vuole e fa quello che vuole senza aver bisogno dell'approvazione di nessuno.