Cannes 68 - The assassin, la recensione
Non è un buon esordio nel wuxiapan quello di Hou Hsiao Hsien. The assassin priva il genere delle sue caratteristiche fondamentali senza compensare in altro
A confronto con l'esigenza di mettere in piedi una trama d'azione rifiutando l'azione Hou Hsiao Hsien si trova incastrato in un confronto e in un discorso tra corpi che non si concretizza mai, se non per piccole promesse.
Le coreografie sono al minimo storico, sia per minutaggio che per complessità, così The assassin sembra asciugare il wuxiapan della sua leggerezza. Come un musical con numeri musicali limitati e poco curati, così la storia dell'assassina che torna alle sue origini viene svuotata della forma che le dà senso, costretta a camminare invece di galleggiare.
La speranza era che quel che il film cede in dinamismo, almeno fosse compensato in introspezione, purtroppo non sembra lo stesso il caso. La trama ha la consueta intricata complessità a cui i film in costume cinesi ci hanno abituato e di contro il semplicismo dei sentimenti in gioco non si trasforma mai in quella sfida estrema da western verso il raggiungimento della cristallizzazione dei valori. I personaggi non diventano mai interpreti di una parabola assoluta ma molto personale, come se in quel contesto fosse stato trasferito un altro tipo di film, uno che calza meno bene quell'abito.