Cannes 68 - Sicario, la recensione
Pulito, corretto e inesorabile come un film di Michael Mann, Sicario sfoggia qualità commerciali e autoriali in pari numero, creando immagini memorabili
La storia è quella di due agenti dell'FBI mandati a coadiuvare una task force del governo americano all'opera in Messico, l'obiettivo è reprimere un cartello della droga. Il gruppo si appoggia ad un consulente locale, dai metodi spicci e l'etica discutibile, più si avanza però meno sono chiari per i due agenti gli obiettivi dell'operazione e quale sia al suo interno il loro ruolo.
Ancora più che in passato sembra che tutto in Sicario passi per gli ambienti, che la costruzione di una realtà irreale, calligrafica per certi versi ma straordinariamente capace di inventare una lunga gamma di immagini memorabili (i militari che sfilano al tramonto pronti per l'operazione, la silhouette di un coltello nella notte, le solite riprese ad infrarossi usate in maniere inedite). In questo mondo limpido e chiaro come quelli di Mann, traboccante di realismo spietato nelle sue scene d'azione (i ringraziamenti vanno ad un comparto sonoro eccellente) e preciso nei riferimenti, si agita però un rumore di fondo, qualcosa di poco chiaro e molto perturbante.
Uno stropicciatissimo Benicio Del Toro ritrova dopo molto tempo un ruolo alla sua altezza, mentre Josh Brolin sembra lavorare di sponda per tutti, granitico come una montagna serve assist buoni per ogni altro attore in scena con lui e con minimalismo raro definisce in maniera netta e corretta il suo militare.
Tuttavia è Emily Blunt, non indifferente alla Jessica Chastain di Zero Dark Thirty, a fare il grosso del lavoro, con piani d'ascolto fantastici, un continuo senso d'inadeguatezza mal compensato da grande forza e per nulla celata femminilità. Le caratteristiche dei personaggi migliori.