Cannes 68 - Mon Roi, la recensione
La nostra recensione di Mon Roi, presentato oggi al Festival di Cannes
Mon Roi parte da qui. E lo fa con un flashback, ovvero all’incontro tra la protagonista e George, uomo tanto irresistibile, dolce, divertenete e generoso, quanto egoista, bugiardo e possessivo. Dipende dai momenti. Con lui si vivono solo estremi. O luna o abissi. Peccato che il suo lato oscuro si manifesti quando ormai Tony è già innamorata di lui. E, poco a poco, è disposta a perdonargli tutto. O almeno così pensa.
Il “Mio Re” dice il titolo, ma non è un complimento: è un ossimoro. Nel seguire lo sviluppo della relazione ci renderemo infatti conto che l’impero di cui il personaggio interpretato da Vincent Cassel è a capo è quello degli “imbroglioni”. Lo sa Tony, è lei che lo incorona come tale mentre a letto gli accarezza affettuosamente i capelli dopo aver fatto l’amore. La contradditorietà di quella scena è un perfetto emblema per capire la struttura stessa della pellicola scritta e diretta da Maïwenn Le Besco, al secondo lungometraggio di finzione dopo Polisse (2011).Realizzare una pellicola che abbia ancora qualcosa da dire di inedito, anche solo nella forma, sulle relazioni è senza dubbio un’impresa difficile. Tutto - o quasi - sembra stato già detto, ed è questo il difetto principale di Mon Roi, pellicola senza dubbio ben girata, scritta ed interpretata, ma che ruota attorno ad una sola idea, peraltro piuttosto nota a chiunque si sia mai innamorato: è difficile lasciare qualcuno di cui si odiano i difetti tanto quanto si amano i pregi. Al festival di Cannes, dove il film è stato presentato in concorso, si è visto e si continuerà a vedere, sicuramente di peggio (primo tra tutti un altro film francese in competizione, Julien e Marguerite di Valérie Donzelli), ma da una vetrina del migliore cinema autoriale contemporaneo forse è lecito aspettarsi qualche scelta più coraggiosa.