Cannes 68 - Mediterranea, la recensione

La nostra recensione di Mediterranea, presentato al Festival di Cannes

Condividi

Algeria. Libia. Italia. Il percorso è lungo. Anche perché inizia ancora da più lontano, dal Burkina Faso per essere precisi.

Solo che dei due amici Abas e Ayiva guardiamo solo le ultime tre tappe di questo viaggio per un futuro migliore che terminerà a Rosarno, Calabria, lì dove un loro amico d’infanzia ormai si è integrato nella comunità e cercherà di dargli una mano nel trovare lavoro come raccoglitori di arance nei campi del posto. Lo shock culturale però è forte. I due non lo vivono allo stesso modo. Per uno l’approdo coincide con la fine dell’illusione di una terra promessa, per l’altro è una ragione in più per rimboccarsi le maniche. Almeno fin quando la realtà delle cose non lo riporterà a domandarsi se davvero ne valeva la pena

Per realizzare il suo primo film Jonas Carpignano è partito prima di tutto da un cortometraggio, A Chjana, presentato due anni fa a Venezia. Stesso attore protagonista, stessa storia, ma in piccolo. Il Sundance l’ha selezionato e l’ha portato nel suo “lab” negli States per mettere a punto una sceneggiatura del lungo assistito dai suoi professori. Una volta terminata la fase di scrittura gli ha trovato un agente per trovare finanziamenti. Ce l’ha fatta, e così eccoci a parlare di questa (bella) pellicola, selezionata alla Semaine de la Critique del festival di Cannes, una storia d’immigrazione e immigrati girata come un vero film d’avventura. Mettete da parte - se li avete - i pregiudizi di chi pensa che un racconto del genere non possa che essere realizzato con un minimalismo che non riguarda solo il budget, ma anche le idee narrative ricorrendo a banalità e facile retorica. Si vede, come lui stesso ha ammesso, che Carpignano ama il cinema americano. La sua penna e il suo sguardo sono abili nel dare ritmo ed intensità alla storia. Via, il superfluo, rimane solo la sostanza.

C'è così tanto da fare vedere che basta un fotogramma per fare capire che i naufragi sono stati recuperati e ci si affida ad un breve dialogo per spiegare come e perché i due protagonisti possano uscire dal centro accoglienza. Poiché le loro azioni sono sempre logiche, non c’è bisogno di mostrare il passaggio dalla decisione all’esecuzione della scelta. Si passa direttamente al passo successivo, all'"e ora che succede?". Impossibile non prendere le parti di chi arriva. La loro illusione è comprensibile così come ingiusto è il trattamento che ricevono. Ma, in qualche modo, Mediterranea risce a mostrare anche l’Italia che accoglie, quella di Mamma Africa e delle persone che ogni giorno si battono per cercare di agevolare l’integrazione. Persino il razzismo e la rabbia montante dei locali, nella sua pazzia, viene rappresentato come un risentimento ineluttabile. Nella storia dell’umanità dove c’è miseria, frustrazione e ignoranza si cerca sempre nello straniero il capro espiatorio.

Forse Carpignano poteva finire un attimo prima, a quella chiamata Skype così commovente, la prima che davvero ci faccia vedere, e quindi sentire, ciò che chi prova ad intraprendere il viaggio dall’Africa è costretto a lasciarsi dietro, ma si tratta di un piccolo neo all’interno di uno dei migliori debutti italiani degli ultimi anni.

Continua a leggere su BadTaste