Cannes 68 - Mediterranea, la recensione
La nostra recensione di Mediterranea, presentato al Festival di Cannes
Solo che dei due amici Abas e Ayiva guardiamo solo le ultime tre tappe di questo viaggio per un futuro migliore che terminerà a Rosarno, Calabria, lì dove un loro amico d’infanzia ormai si è integrato nella comunità e cercherà di dargli una mano nel trovare lavoro come raccoglitori di arance nei campi del posto. Lo shock culturale però è forte. I due non lo vivono allo stesso modo. Per uno l’approdo coincide con la fine dell’illusione di una terra promessa, per l’altro è una ragione in più per rimboccarsi le maniche. Almeno fin quando la realtà delle cose non lo riporterà a domandarsi se davvero ne valeva la pena
C'è così tanto da fare vedere che basta un fotogramma per fare capire che i naufragi sono stati recuperati e ci si affida ad un breve dialogo per spiegare come e perché i due protagonisti possano uscire dal centro accoglienza. Poiché le loro azioni sono sempre logiche, non c’è bisogno di mostrare il passaggio dalla decisione all’esecuzione della scelta. Si passa direttamente al passo successivo, all'"e ora che succede?". Impossibile non prendere le parti di chi arriva. La loro illusione è comprensibile così come ingiusto è il trattamento che ricevono. Ma, in qualche modo, Mediterranea risce a mostrare anche l’Italia che accoglie, quella di Mamma Africa e delle persone che ogni giorno si battono per cercare di agevolare l’integrazione. Persino il razzismo e la rabbia montante dei locali, nella sua pazzia, viene rappresentato come un risentimento ineluttabile. Nella storia dell’umanità dove c’è miseria, frustrazione e ignoranza si cerca sempre nello straniero il capro espiatorio.