Cannes 68 - La Tete Haute, la recensione

Apre in piena continuità con l'anno scorso Cannes, La tete haute ha echi da Mommy ma una determinazione ad assolvere il suo protagonista tutta sua

Critico e giornalista cinematografico


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Troppo vicino, troppo simile, troppo ingombrante, nel vedere La Tete Haute (a testa alta) è impossibile non pensare a Mommy, il film che un anno fa a Cannes portava la storia di un ragazzo con problemi di gestione della rabbia e di una madre non propriamente integerrima che cerca con difficoltà di tenerlo fuori da centri di detenzioni, prigioni minorili e manicomi. Il film di Emmanuelle Bercot non gira troppo lontano da quest'idea, si concentra molto di più sulla parte "sociale", cioè sul rapporto del protagonista Malony con le istituzioni che cercano di riabilitarlo, metterlo in riga e tenerlo fuori dai guai, che sul rapporto con una madre molto peggiore di quella di Mommy, ma l'aria è la medesima. Si tratta del sapore melò prestato ad una storia criminale, il sentimentalismo legato alle difficoltà di vivere per chi sembra non essere fatto per questa società e una forma esasperata di romanticismo che attinge con piacere ad un'altra epoca del cinema.

Lontano da qualsiasi rarefazione Emmanuelle Bercot, come già Dolan, non teme di affondare le mani nelle grandi corse, nei pianti improvvisi come nelle singole lagrime che scendono sulle guance di volti impassibili. Ci sono gravidanze indesiderate, ospedali, centri in cui i ragazzi lottano, pregano, piangono e si innamorano, ci sono incidenti d'auto quasi mortali e droga. Tutto è indubbiamente manipolato, gestito e raccontato con la miglior fluidità e quell'equilibrio tra adesione ad una parte in gioco (ovviamente quella del protagonista) e obiettività dei fatti che è caratteristica del cinema più maturo.
Eppure è anche vero che La Tete Haute dipinge un mondo di buoni e di migliori, cancella il peggio o lo limita al protagonista, per sua natura intimamente buono e migliorabile, delinquente per genia o per cattiva educazione. Molti nel film rinfacciano a Malony di dare sempre la colpa agli altri e non assumersela mai, ma l'impressione è che la storia stessa, per come è raccontata, non dia mai la colpa a lui che l'unico elemento non buonista del film sia comunque sempre scusato.

Non c'è nulla di più frequente di un film che parteggia per il proprio protagonista, ma la maniera in cui Emmanuelle Bercot guarda il suo Malony è con gli occhi offuscati di una madre, sempre pronta a giustificare le sue peggiori azioni con un pianto o un pentimento, sempre pronta a dare la colpa alla madre (quella vera, del personaggio) ritraendola nell'ennesima assurdità, poco dopo ogni bravata del figlio, sempre pronta a mettere un intero esercito di assistenti sociali, avvocati e giudici in aiuto di questo angelo che agisce come un demonio e butta la vento ogni nuova possibilità datagli dai pazientissimi rappresentanti della legge.
Arriverà anche l'amore, anche lì ci saranno problemi, anche lì un'altra assoluzione. A Malony è concesso tutto, in una storia che intende assolverlo con una tale programmaticità da eliminare qualsiasi possibile e reale pietà. Non solo Mommy, purtroppo La Tete Haute sembra aver attinto troppo anche al mielosissimo Polisse di Maïwenn.

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