Cannes 68 - Green room, la recensione

Jeremy Saulnier con Green Room conferma di saper gestire umorismo, tensione e vertigine da violenza come pochi altri ma non trova la perfezione di Blue Ruin

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono già gli estremi per una trilogia sui colori fatta di sangue ed umorismo, i cui film sono sempre costituiti da personaggi d'indole pacifica costretti dagli eventi a diventare guerrieri spietati. Mani spaccate senza averlo mai fatto prima, pistole maneggiate male e machete agitati senza nessuna abilità, di nuovo Saulnier racconta le persone ordinarie di fronte alla straordinaria vertigine da violenza.

Questa volta è una band punk ad essere costretta ad uccidere e mutilare per salvare se stessa quando, testimone involontaria di un omicidio a sangue freddo, si trova assediata. Il luogo è il meno ideale: ritrovo in mezzo ai boschi di un gruppo di militanti d'estrema destra. Li hanno insultati durante il concerto e ora devono difendersi da loro che sono armati di tutto punto.

Il meccanismo divertente, si capisce, è il medesimo di Blue Ruin, l'impresa quasi impossibile di sopravvivere allo sterminio che sta per avere luogo, il minimo delle chances in mano ai più improbabili antieroi. Saulnier è bravissimo a condurre il proprio gioco al massacro in cui la violenza arriva sempre immediata e senza nessuna celebrazione, in cui si muore con poco e nel quale il grottesco si annida dietro ogni angolo. Più ridicoli che eroici i protagonisti di Green Room hanno un tangibile terrore per quello che fanno e il consueto confortante ritmo nel portarlo avanti. Tuttavia non si può fare a meno di notare che se il divertimento è simile, a Green Room manca tutto l'afflato e la portata epica di Blue Ruin, non ne condivide anche la gravitas che rende tutto esaltante ed inebriante.

Confinato il protagonista del film precedente (Macon Blair) in un ruolo comprimario di geniale demenzialità e messo al comando della brigata malvagia Patrick Stewart, stavolta Saulnier gestisce un cast di star che a questo film molto più piccolo e meno pretenzioso porta la forza della caratterizzazione. Se il comandate Pickard è il caso più ordinario di anti-casting, Imogen Poots è invece straordinaria. Il suo percorso da spaventata punk di perferia a killer non somiglia a nessuna rivincita da cinema horror, quando imbraccia i fucili a pompa non è una donna resa forte e sicura di sè dalla violenza ma una bestia. Ingobbita, rintanata, malvagia e spietata diventa un animale, più che una persona sembra il rimasuglio di una persona.

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