Cannes 68 - Green room, la recensione
Jeremy Saulnier con Green Room conferma di saper gestire umorismo, tensione e vertigine da violenza come pochi altri ma non trova la perfezione di Blue Ruin
Questa volta è una band punk ad essere costretta ad uccidere e mutilare per salvare se stessa quando, testimone involontaria di un omicidio a sangue freddo, si trova assediata. Il luogo è il meno ideale: ritrovo in mezzo ai boschi di un gruppo di militanti d'estrema destra. Li hanno insultati durante il concerto e ora devono difendersi da loro che sono armati di tutto punto.
Confinato il protagonista del film precedente (Macon Blair) in un ruolo comprimario di geniale demenzialità e messo al comando della brigata malvagia Patrick Stewart, stavolta Saulnier gestisce un cast di star che a questo film molto più piccolo e meno pretenzioso porta la forza della caratterizzazione. Se il comandate Pickard è il caso più ordinario di anti-casting, Imogen Poots è invece straordinaria. Il suo percorso da spaventata punk di perferia a killer non somiglia a nessuna rivincita da cinema horror, quando imbraccia i fucili a pompa non è una donna resa forte e sicura di sè dalla violenza ma una bestia. Ingobbita, rintanata, malvagia e spietata diventa un animale, più che una persona sembra il rimasuglio di una persona.