Cannes 68 - Amy, la recensione

La nostra recensione di Amy, il documentario su Amy Winehouse presentato al Festival di Cannes

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Non è importante per me mettere gli altri a proprio agio. Sono difficile, ma è così perché non me ne frega nulla!
Amy Winehouse, 2007, intervista alla rivista Maxim

Basterebbe questa citazione per comprendere ciò che più di ogni altro aspetto della personalità di Amy Winehouse emerge dall’eponimo documentario da Asif Kapadia: lei non era lei che rincorreva pubblico o media. Erano, e purtroppo lo sono stati fino alla morte ed e oltre ( del resto questo stesso film ha finalità commerciali) gli altri. Loro. E forse anche noi, pronti ad osannarne la voce tanto con la stessa rapidità con cui, pochi giorni dopo, siamo stati potenzialmente ben contenti di deriderla per una figuraccia. Questo almeno è ciò che ci dice Asif Kapadia che, così come il suo precedente film, Senna, cerca di andare oltre al necrologio documentaristico, ma propone una vera e propria tesi di fondo. Per fortuna non lo fa in maniera immediata, ma costruendola progressivamente, lasciando che sia il montaggio (come, quando e cosa mostrare) a portare lo spettatore lì dove lui vuole che vada.

Che Amy Winehouse sia stata prima di tutto vittima di sé stessa è cosa risaputa. Del resto è quasi sempre così per le star morte precocemente dopo una vita d’eccessi. Potresti aver tutto dalla vita, perché la butti via così? Purtroppo fama ed il successo spesso non curano, ma, al contrario, rischiano esasperare fino all’estremo i problemi di alcuni individui. Ecco allora che avere un padre che si fa vivo solo quando al suo seguito ci sono le telecamere di un reality show oppure un manager ossessionato dal profitto immediato più che del benessere della sua assistita si trasformano in esecutori di un malessere già in nuce, ma che con altre persone intorno forse ne sarebbero potute uscire. Forse due ore di racconto sono molte per una storia del genere, ma il film di Kapadia (presentato a Cannes) ha anche un merito divulgativo, oltre che cinematografico: attraverso il tanto materiale recuperato riesce a far capire quanto Amy Winehouse fosse un talento cristallino fin dalla sua nascita, una voce ed un personaggio eccezionale capace di rompere schemi e convenzioni che si davano per scontati.

Non poteva che raggiungere la vetta. Peccato che sia stato per poco. Tre album (di cui uno postumo), qualche esibizione live e poco altro. Il rimpianto è più che mai giusto.

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