[Cannes 66] The past, la recensione
Senza allontanarsi per nulla da struttura, idee e dinamiche vincenti di Una separazione, Farhadi torna con un film pieno di parole e cambi di fronte a raccontare l'incertezza...
C'è un'altra separazione nel nuovo film di Asghar Farhadi e come già nel precedente è il motore che innesca una serie di eventi che a loro volta svelano l'impossibiltà di conoscere davvero, ed essere realmente sicuri, delle singole responsabilità negli eventi che ci circondano. Nella vita dei due protagonisti è successo qualcosa che li ha divisi, 5 anni dopo si riuniscono per firmare le carte per il divorzio. Lei si è rifatta una vita con un altro uomo, il quale ha portato il figlio del precedente matrimonio in casa da lei assieme alle sue due figlie. Questi 6 personaggi più una donna in coma sono gli attori di una vicenda che non è più uno scontro di due persone che simboleggiano due mondi (il borghese e acculturato contro la povera bigotta e integralista), ma un dramma ben organizzato in cui ogni personaggio è portatore, di volta in volta, di un elemento o di un indizio che sconvolge le certezze apparentemente raggiunte.
Se l'ossatura è la finalità rimangono decisamente quelle di Una separazione, questa volta in più ci sono anche i sentimenti, potenti e mai sopiti, e non fievoli e freddi come in precedenza. Non c'è una morale, un codice, un'etica o anche solo dei dettami alla base dei comportamenti, in Le passè ogni personaggio è mosso da un fortissimo sentimento, talmente potente da offuscare mente e gesti intorbidendo le acque e causando silenzi e ritardi.
Come al solito la scrittura è l'ingranaggio su cui si regge tutto e l'aumento di personaggi coinvolti non cambia la dinamica a domino, in cui ciò che non viene detto macera fino allo svelamento, mentre l'indagine disperata di un uomo (stavolta esterno ai fatti ed innocente) sembra fare più male che bene.