[Cannes 66] Nebraska, la recensione

Zuccheroso e solo epidermicamente da festival il nuovo film di Alexander Payne rielabora molte idee dei suoi successi passati con umorismo e commozione ma senza inventiva...

Critico e giornalista cinematografico


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Unendo Sideways e About Schimdt e utilizzando una fotografia in bianco e nero che sembra ispirata ai grandi western degli anni '50 e '60, Alexander Payne ha ottenuto Nebraska, la storia di una famiglia in cui i due figli adulti accompagnano il padre ormai anziano e disilluso da tutto verso la cittadina di Lincoln dove nessuno riesce a fargli capire che non ritirerà quel milione di dollari che un volantino pubblicitario sostiene lui abbia vinto. Nel farlo passano nel vecchio paese in cui sono cresciuti reincontrando vecchie conoscenze e rievocando vecchie ruggini.

Non solo la vecchiaia quindi ma anche il road movie e il bilancio dolce e amaro di una vita di affetti e mancati affetti. Nebraska ce la mette tutta per conquistare il pubblico, lo fa ridere, lo fa intenerire e lo fa piangere, mette in piedi un cast di outsider a interpretare personaggi tutti esecrabili tranne i poveri amabilissimi protagonisti, fallati e per questo ancor più amabili.

C'è insomma una valanga di zucchero mascherata da autorialità attraverso la fotografia in bianco e nero e l'uso di paesaggi non commerciali e non da cartolina, in questo film piccino che è tanto fastidioso quanto non si rassegna al suo stato ma pretende di essere grande.

Nel suo mostrare lo spaccato umano americano puro Nebraska non trova mai un vero paradigma, non c'è nulla al di là del sentimentalismo spicciolo.

Rimescolando quelle carte che hanno fatto la fortuna del cinema indipendente in stile Sundance (personaggi normali con in più una piccola stranezza nella personalità coinvolti in un'avventura dolceamara) Nebraska dovrebbe colmare il gap con il cinema di alto livello, ma non lo vede nemmeno con il cannocchiale.
Fosse uscito in sala normalmente sarebbe stato anche carino. Presentato a Cannes è totalmente fuori posto.

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