[Cannes 66] La Grande Bellezza, la recensione
L'unico italiano in concorso a Cannes è un film grande, audace e potente, che non rimane costantemente a livelli alti ma che punta al massimo con il massimo dei mezzi e dell'impegno...
La grande bellezza e la tragedia umana, entrambe sedimentate sotto il chiacchiericcio. Questo concetto, semplice e non eccessivamente originale, espresso fin dal trailer con un giro di parole (quello si!) bello e originale, è il senso ultimo di La Grande Bellezza, un film dal senso semplice ma espresso in maniera complessa e audace.
Per raccontare tutto ciò Paolo Sorrentino procede secondo il proprio modus operandi, ovvero tracciando un profilo umano (come ha fatto in ogni suo film) che illustri un mondo grottesco in cui la tragedia è inevitabilmente comica, e questa volta lo fa rigettando totalmente l'idea di intreccio. Già This must be the place cominciava a negarlo ma usava il viaggio come stratagemma narrativo, qui invece una trama non c'è ma come in La Dolce Vita (film che viene richiamato in molti modi diversi e con differenti tipi di citazioni ma che non costituisce in nessun modo un calco su cui La grande bellezza è formato nè un suo prequel spirituale) la storia si sviluppa per quadri, piccoli eventi e accadimenti nella vita del protagonista dopo che l'aver compiuto 65 anni lo induce a un bilancio personale.
Dopo un attacco di 30-40 minuti mostruoso per efficacia, potenza visiva, creatività, montaggio e inventiva, La Grande Bellezza si assesta, procede senza troppa fretta e i suoi quadri non sono tutti del medesimo interesse, spesso toccando il pacchiano. Quel che però è indubbio è che a fronte di molti momenti sconfortanti (i cammei illustri, alcune banalità, altre ruffianerie), l'audace obiettivo di mettere in scena la disperazione di un abisso di ozio, menefreghismo e ignavia, adagiati sul quel tipo di "nulla" fatto (anche quello fellinianamente di bellissimo e bruttissimo, giovanissimo e vecchissimo, volgare e raffinato) che si agita nelle notti mondane è centrato, specie quando Sorrentino lo mette in relazione ai ricordi di Jep, in un dialogo tra immagini di oggi e di ieri che commuove.
Molto di tutto questo si regge sugli interpreti inusuali (Verdone e Sabrina Ferilli) ma soprattutto su Toni Servillo, più in forma di sempre, capace di tirare fuori dal cilindro espressioni e minuzie che ancora non gli avevamo mai visto e maniacale nel mostrare in volto tutti i lenti mutamenti del personaggio. E' un attore immenso, lo sappiamo, ma solo Sorrentino riesce a farlo correre al massimo in questa maniera.
Ed alla fine è proprio per questo, per la minuzia con la quale il film tocca corde intime e comunica idee inesprimibili a parole, che, pur con tutti i suoi difetti e la sua eterogeneità La Grande Bellezza appare come un film grande. Forse non una guida per leggere l'attualità come sembrava fosse e probabilmente nemmeno un film sulla Roma dei salotti come in molti dicevano (per quanto la città, sia nei suoi luoghi segreti che in quelli più noti, incomba come un peso impossibile da sostenere), ma di certo un ritratto umano di straziante verità, che tocca molte realtà dipingendole in maniera simile non a come sono ma a come le percepisce un occhio distaccato e poi, nei minuti finali, un'opera che associa diverse immagini di raro candore naive e contemporaneamente forza eversiva. Una scalinata salita con le ginocchia e uno sguardo sulle rocce ripresi come qui in Italia non si fa mai.