[Cannes 66] Grigris, la recensione

Presentato a Cannes Grigris, un film poco rappresentativo delle pulsioni che battono nell'emergente cinema africano...

Critico e giornalista cinematografico


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Quello che i bookmaker avevano dato come più probabile vincitore di questo festival si è rivelato uno dei film più insulsi. Vacuo, privo di qualsiasi creatività o anche solo della capacità di raccontare con abilità e complessità una storia tipica da cinema, Grigris è cinema africano noioso e ripiegato sulla propria provenienza.

Non c'è nulla di male nel parlare o mostrare il proprio paese e il proprio contesto (anzi, sono elementi che rendono i film differenti e personali) c'è di male invece nel fare questo senza che poi esista davvero un film, senza che ci sia altro intorno.

La storia del ballerino con una gamba mutilata che si dà al crimine per soldi e che poi scappa con una prostituta è raccontata senza riuscire mai a comunicare nulla. Non disperazione, non ansia, non amore, non speranza nel domani. Nulla.

E anche i momenti in cui ci sarebbe margine per andare un po' oltre il semplice resoconto degli eventi descritti nella sceneaggiatura il film sembra fermarsi un passo prima. E' il caso della fuga con i bidoni di benzina nel tunnel, un luogo terribile, in cui si viene cacciati, nudi, con un peso legato e una gamba menomata, c'è tutto per creare un piccolo momento significativo. Invece nulla.

Il punto è che il cinema africano è migliore di così, sa essere universale e non "africano" come del resto quello europeo, asiatico e via dicendo. Grigris invece rimane nel suo piccolo mondo pieno di velleità, ad imitare uno stile rarefatto e distante, coniato in altri paesi senza però arrivare a quegli equilibri e quelle idee di messa in scena che creano significato.

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