[Cannes 66] Behind the Candelabra, la recensione

Inspiegabilmente in concorso, il film tv HBO sulla vita di Liberace è un polpettone ruffiano che fallisce ogni proprio obiettivo e regala solo contentini...

Critico e giornalista cinematografico


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Fin dal titolo il nuovo film di Steven Sodebergh non vuole riservare sorprese. Il biopic su Liberace è intitolato come il più turpe dei libri intervista e racconta la più fasulla delle storie "corrosive", in realtà facendo innamorare ancor di più il pubblico del personaggio (almeno quello che nè è già innamorato, o se non altro lo conosce).

I crismi del genere ci sono tutti: l'interpretazione mimetica (di Michael Douglas), la vita sfarzosa che nasconde un privato problematico, le esibizioni e la vita professionale messe da parte per far spazio al quotidiano, gli eccessi d'ira e la comicità... Tutto finalizzato ad un feel good movie incapace di parlare non tanto di Liberace (anche chi non lo conosce comprende che quel ritratto non appartiene a nessun essere umano mai vissuto) ma nemmeno di quella piccola parte di ogni spettatore che potrebbe immedesimarsi anche solo in una minuzia della storia.

Benedetto da una fotografia particolarmente in forma (è sempre Sodebergh a curarla con il consueto pseudonimo) che sembra rimandare agli ultimi lavori di Kubrick e gioca tutto sugli interni e le rifrazioni di lampade, lampadari e luminarie varie su oro, ottone e specchi (usando così elementi della vita del personaggio per creare un ambiente che abbia un significato), nonchè da un umorismo particolarmente forte, il film se la cava così, con il minimo indispensabile, mancando ogni appuntamento con la missione prefissata ma regalando contentini a piene mani.

L'unica idea poteva essere quella di leggere Liberace attraverso gli occhi del suo ultimo compagno (la storia è la sua, parte da prima del suo incontro con il protagonista e finisce con un suo primo piano, quasi libero), ma lo stratagemma poi non si fa mai davvero idea innovativa. Il fatto di aver messo al centro il compagno non serve a indagare diversamente l'oggetto del desiderio del film, non ci dice molto, anzi non ci dice nulla. Come il resto dell'opera.

Periodicamente Sodebergh dichiara di voler smettere di fare film e non si comprende come mai non metta in pratica il suo proposito se, com'è evidente, non ne ha più la voglia.

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