[Cannes 2016] Sieranevada, la recensione

Cinema di finzione che anela allo stile dei documentari e così centra alcuni dei momenti più veri che si possano mettere in film, Sieranevada è una sorpresa

Critico e giornalista cinematografico


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Non c'è cinema più moderno di quello proposto da Sieranevada. Storia familiare, parenti riuniti in una casa da un lutto, problemi, incomprensioni, affetti, nostalgie comuniste, tragedie e felicità di un nucleo numeroso. Non c'è cinema più moderno perché una storia simile sarebbe stata solo qualche anno fa ripresa con grande partecipazione, con una messa in scena classica e invisible, fatta di campi e controcampi, di montaggi alternati e magari qualche arguzia visiva. Puiu invece è decisamente visibile, blocca la sua videocamera su un cavalletto e non fa che ruotarla di massimo 180 gradi. Quando non è in macchina, seduto sul sedile di dietro, il cineasta si piazza in un punto della casa e gira lunghi pianisequenza, solitamente in un angolo, posto che gli fornisce la visuale maggiore. Da lì di volta in volta, come un documentarista figlio di Wiseman, segue gli eventi per l'appunto ruotando sul suo asse di massimo 180 gradi. Se un personaggio esce dalla visuale non lo vedremo più ma lo sentiremo, se chiude una porta dietro di sè non entreremo in quell'ambiente con lui, come se il regista non potesse prevedere o comandare quel che accade.

È il cinema che di finzione che invidia sempre di più il documentario, eppure non è questo a rendere le quasi 3 ore di Sieranevada un viaggio sorprendente in una famiglia borghese romena di oggi, quanto la maniera disincantata e per nulla retorica con cui questo film decide di proporre le sue tante storie. C'è un momento che forse è il più significativo di tutti, quello che con maggiore evidenza mostra l'insofferenza di Puiu per le classiche regole della scrittura e del cinema, quello che lo rivela indubitabilmente come un cineasta dotato di una liberatoria arroganza. È quando l'irrompere del marito di una delle "zie" di famiglia accende la tragedia già annunciata dai frequenti pianti di lei: è stato scoperto con un'altra, il loro nucleo si sta sfasciando e i figli gli sono contro. Quest'uomo è un miserabile che piange miseria senza negare quel che ha fatto, guardato con disprezzo ma in fondo anche ormai uno di loro dagli altri, incarna insomma un coacervo di sofferenza nel momento più dichiaratamente drammatico, eppure Lary, il personaggio che più di tutti seguiamo fin dall'inizio, quello più caro al pubblico, scoppia a ridere senza motivo durante la sua confessione, non si trattiene e il suo ridere contagia anche altre persone presenti che prima erano disperate. Non c'è niente di più autenticamente vero e imprevedibile come quella risata figlia dell'esasperazione e di quel po' di grottesco che la situazione contiene. È così inattesa e immotivata che suona realistica, spezza tutto e costringe lo spettatore a ripensare tutto quel che credeva. Nessun altro cineasta l'avrebbe inserita, perché spiazza il pubblico, non ha niente a che vedere con le regole d’oro della narrazione nè ha una vera ragion d'essere, eppure è un momento memorabile.

Sieranevada è così, un film fiume tutto interni ed errori, uno in cui tutti i personaggi sono un po' scemi e un po' hanno ragione, in cui le discussioni finiscono nei pianti ma durano poco e in cui si cerca disperatamente di cucinare e poi consumare un pasto rituale, durante una veglia funebre a cui tutti sembrano credere poco. Appare molto semplice fare un film così essenziale, eppure richiede tutto il coraggio del mondo mettere in scena quei personaggi con quelle opinioni (c'è anche la nonna che "Si stava molto meglio con Ceausescu") e quei rapporti, per parlare in maniera così tangenziale del senso d'inadeguatezza di Lary, che subito, ad inizio film, si presenta avendo comprato il vestito da principessa sbagliato per la figlia e cerca di rimediare sostenendo che Disney ha rovinato le fiabe dei Grimm. Eroe.

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