[Cannes 2016] Sieranevada, la recensione
Cinema di finzione che anela allo stile dei documentari e così centra alcuni dei momenti più veri che si possano mettere in film, Sieranevada è una sorpresa
È il cinema che di finzione che invidia sempre di più il documentario, eppure non è questo a rendere le quasi 3 ore di Sieranevada un viaggio sorprendente in una famiglia borghese romena di oggi, quanto la maniera disincantata e per nulla retorica con cui questo film decide di proporre le sue tante storie. C'è un momento che forse è il più significativo di tutti, quello che con maggiore evidenza mostra l'insofferenza di Puiu per le classiche regole della scrittura e del cinema, quello che lo rivela indubitabilmente come un cineasta dotato di una liberatoria arroganza. È quando l'irrompere del marito di una delle "zie" di famiglia accende la tragedia già annunciata dai frequenti pianti di lei: è stato scoperto con un'altra, il loro nucleo si sta sfasciando e i figli gli sono contro. Quest'uomo è un miserabile che piange miseria senza negare quel che ha fatto, guardato con disprezzo ma in fondo anche ormai uno di loro dagli altri, incarna insomma un coacervo di sofferenza nel momento più dichiaratamente drammatico, eppure Lary, il personaggio che più di tutti seguiamo fin dall'inizio, quello più caro al pubblico, scoppia a ridere senza motivo durante la sua confessione, non si trattiene e il suo ridere contagia anche altre persone presenti che prima erano disperate. Non c'è niente di più autenticamente vero e imprevedibile come quella risata figlia dell'esasperazione e di quel po' di grottesco che la situazione contiene. È così inattesa e immotivata che suona realistica, spezza tutto e costringe lo spettatore a ripensare tutto quel che credeva. Nessun altro cineasta l'avrebbe inserita, perché spiazza il pubblico, non ha niente a che vedere con le regole d’oro della narrazione nè ha una vera ragion d'essere, eppure è un momento memorabile.