[Cannes 2016] Ma' Rosa, la recensione
Nelle Filippine della corruzione più bieca e dei tradimenti Ma' Rosa si muove benissimo purtroppo però senza sapere dove andare
Lo dimostra bene Ma' Rosa, racconto di una famiglia che gestisce un drug store da poco e per arrotondare spaccia metanfetamine. La polizia arresterà moglie e marito, li interrogherà e li costringerà a rivelare il nome del loro spacciatore per arrestare anche lui e rubargli i soldi. Quando però la cifra trovatagli addosso non basterà la polizia ricatterà Ma' Rosa e marito costringendo i loro 3 figli a girare la città per tutta la notte in cerca dei soldi necessari a completare la corruzione.
Non ci sono buoni in questo film perché di certo non lo è la polizia, non lo sono i protagonisti che spacciano con una leggerezza intollerabile e nemmeno i loro pari che li aiutano ma anche condannano (tutti sono stati denunciati da qualcun altro per salvarsi la pelle). Nelle Filippine umide e caldissime di Ma' Rosa nessuno si salva nè c'è possibile consolazione nel finale impresso sul volto di Ma' Rosa che dopo una lunga nottata mangia un po' di street food con gli ultimi spicci che le sono rimasti.
Certo, non ci sono dubbi sul fatto che questo film poteva anche essere qualcosa di più, che tutta questa trama poliziesca interna ad un commissariato poteva portare da qualche parte più concreta e che la mancanza di una chiusa lasci un po' l'amaro in bocca. Incapace di creare quell'equilibrio in cui non c'è bisogno di un finale vero e proprio, ma anche di chiudere davvero la sua trama in maniera significativa Ma' Rosa rimane in un limbo che soddisfa poche persone.
Questo avviene nonostante sia evidente come Brillante Mendoza abbia le idee molto chiare sia su cosa voglia filmare (l'ingiustizia nell'atto di avvenire e gli esseri umani nell'atto di adattarsi ad essa), sia su come farlo (partecipando agli eventi e cercando di trovare ogni volta un'adesione diversa, ora con la polizia, ora con le vittime, ora con i passanti). Tanta energia e tanta buona volontà potevano trovare una concretezza maggiore. Specie perché il modo in cui nella seconda metà del film la videocamera esce dal commissariato e segue i personaggi in peregrinazioni che paiono senza speranza, in percorsi a piedi di isolato in isolato, attraverso una periferia che pare una giungla di cavi, è in sè un'immagine fantastica.
In quel mondo che Mendoza intende riprendere dal vero si ha l'impressione che possa accadere molto di più di quel che vediamo.