[Cannes 2016] Risk, la recensione

Il documentario che racconta i fatti più importanti dei nostri anni è il trionfo del contenuto e il fallimento della forma, Risk poteva essere migliore

Critico e giornalista cinematografico


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Quello che Laura Poitras ha avuto la possibilità di fare con Risk e con il film gemello su Edward Snowden uscito un anno fa, Citizenfour, è un caso più unico che raro di storia raccontata dal punto di vista dei perdenti. Mentre i media di tutto il mondo tramandano la versione governativa della persecuzione ai danni di Snowden e Assange, questi documentari hanno l'occasione unica di narrare i medesimi eventi dai loro punti di vista, di mostrare le vere immagini dietro la notizia.
In virtù del suo passato da documentarista scomoda e malvista dal governo, Laura Poitras è stata contattata sia da Assange che da Snowden per seguirli. Consci che televisione e giornali difficilmente avrebbero riportato il loro punto di vista sugli eventi che li hanno visti protagonisti, hanno chiesto a lei di filmare e riportare quella che invece è la loro versione. Ne sono usciti questi due documentari fenomenali, dotati di immagini uniche e destinate a fare storia, veri documenti della nostra epoca.

Purtroppo non si può dire che siano anche documentari in grado di fare l'uso migliore del proprio materiale. Con tutta la chiarezza e l'idealismo di cui è dotata, Laura Poitras si concentra a mostrare cosa sia accaduto ad Assange. Non discute quel che ha fatto e le sue implicazioni, non si inserisce nel dibattito sulle rivelazioni comparse grazie a lui su Wikileaks, ma semmai sulla reazione che ha subìto. Il titolo fa infatti riferimento al rischio che Assange ritiene valevole correre per svelare ciò che ci viene tenuto nascosto, per combattere la sua battaglia politica. Ma è tutto dentro al documentario e non nella sua forma. Risk dunque non solo è estremamente convenzionale ma anche privo di una maniera sofisticata di mettere in relazione le immagini di cui è in possesso, mostra ma non costruisce senso.

Le scelte ardite di Laura Poitras sono pochissime e anche la narrazione non scorre proprio nella maniera più fluida, tanto che la comparsa a sorpresa di Lady Gaga e l'intervista che ha fatto a Julian Assange suonano come un momento liberatorio. L'irruzione di qualcosa di realmente filmico, di una discontinuità da cui il film esce arricchito, anche se solo per pochi secondi, è la più evidente dimostrazione della povertà di linguaggio del resto dell’opera. Dall'ingresso di Lady Gaga si aprono subito altre possibili strade e considerazioni: cosa ne pensa il resto del mondo di Assange? È diventato un pupazzo accanto a cui i VIP si fanno le foto? Questi eroi della politica hanno bisogno di essere mangiati dall'intrattenimento per rimanere in vita? Chi appoggia la sua causa sa realmente di cosa stiamo parlando? Se non fosse per quel momento il resto del documentario rimarrebbe nel mare dell'informativo parziale, visto che la cineasta non nega mai la sua appartenenza e la sua adesione totale alla causa di Assange.
Senza il filtro di un'informazione realmente obiettiva, senza la lettura di un occhio filmico che possa mettere in evidenza i contrasti di questa storia e costruirci sopra "altro", ovvero usarla per leggere e interpretare i temi che solleva, Risk rimane un prodotto estremamente interessante ma non un film memorabile.

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