[Cannes 2016] Poesia Sin Fin, la recensione

Autoincensatorio e poetico ma anche sincero, onesto e in certi punti diretto come solo Fellini ha fatto prima di lui. Poesia Sin Fin è di nuovo Jodorowsky

Critico e giornalista cinematografico


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Riprende direttamente dove aveva lasciato Jodorowsky, Poesia Sin Fin è la seconda parte di un franchise personale e autorialissimo sulla storia della sua vita dopo il primo capitolo La Danza de la Realidad. La sua formazione vista attraverso la sua messa in scena assurda e poetica. L'Alejandro bambino si muove con i propri genitori, abbandona i monti natii e va a vivere nei quartieri peggiori di una grande città, cresce, afferma la sua indipendenza, scopre la poesia e una nuova famiglia di poeti per infine rinnegare il suo nucleo originale che non l'ha mai capito. C'è sempre il vero Alejandro Jodorowski dietro l'attore che lo interpreta (suo figlio), c'è sempre un tono tra il comico e il pasticciato in questo film che del suo essere vecchio stampo fa un vanto e che, comunque, riesce in certi punti a realizzare quello che il cinema oggi non fa quasi mai.

Sarebbe forse inadeguato calare su tutto Poesia Sin Fin il medesimo giudizio dato ai suoi attimi più riusciti, il film di Jodorowsky infatti ha diverse lungaggini, non gestisce sempre al meglio il ritmo interno della narrazione e alle volte si perde. Tuttavia, sebbene possa sembrare una bestemmia, c'è in questi ultimi due film di Jodorowsky una capacità sentimentale e (è abusato dirlo) "poetica" unica e sconosciuta ai suoi esordi più noti e celebrati. Ma come si può far finta di niente di fronte ad alcune immagini che violentano lo spettatore, ad alcune allegorie così dirette, efficaci e potenti da cogliere totalmente impreparati? Il giovane Jodorowsky costretto a suonare il violino, benché voglia fare altro, vive quell'obbligo come una castrazione e trasporta lo strumento in una custodia che sembra una bara nera, conosce una donna dominatrice eppure vergine che letteralmente quando passeggiano insieme non lo tiene per mano ma per i genitali, desidera così fortemente essere un poeta da battersi con il padre durante un terremoto. Ci sono tantissimi momenti che non hanno niente di comune in questo film che non usa mai una volta un clichè ma semmai ne inaugura di propri, fino a chiudersi con un confronto con il padre sul molo che può facilmente commuovere per disperata sincerità (il padre, in un'accensione di inventata gentilezza si raserà baffi e capelli per mostrarsi nudo e diverso, finalmente conciliato davanti a Jodorowsky giovane e vecchio).

Questo cineasta incostante è tornato al cinema da pochi anni con una serie di film che solo vagamente prendono le mosse dalle deformazioni dei ricordi di Amarcord per approdare da tutte altre parti, per usare le assurdità, il grottesco e alcune teatralità al fine di creare non il soffuso ambiente della memoria ma quello etereo della poesia. Non tutto è riuscito, come si è detto, non sempre le sue aspirazioni smisurate diventano sullo schermo ciò avrebbe sperato, ma il fatto che anche solo alcune volte ci riesca è lo stesso magnifico.

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