[Cannes 2016] Pericle il nero, la recensione

Film di genere che invece non è di genere, Pericle il nero è un vero classico italiano di cui non sentiamo davvero il bisogno

Critico e giornalista cinematografico


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I "film di genere che in realtà non sono di genere" sono una specialità tutta italiana. Sono quei film che solitamente vengono definiti "Non solo un film di genere ma molto di più", come se centrare un genere, farlo bene ed essergli fedele non bastasse. Sono quelli dalle premesse e dai finali perfetti ma in cui tutta la parte centrale, quella più grossa e lunga, in realtà risponde ad altre logiche, quelli infine che contrabbandano il solito cinema sotto mentite spoglie Questa volta in Pericle il nero il costume scelto, come spesso capita per motivi commerciali, è quello del noir. Pericle è una mezza tacca, un criminale da poco che l'ha fatta grossa e viene spedito in esilio, in questo viaggio capirà molte cose che gli faranno cambiare idea e prendere decisioni drastiche quando qualcuno tornerà a trovarlo.

Premesse d'azione e disperazione che portano soltanto a sguardi intensi e aspirazioni mal comunicate (quando non arrivano per direttissima grazie alla voce fuoricampo). Ciò che accade nel periodo di esilio è infatti una storia d'amore con una donna sconosciuta che risveglia un desiderio di normalità, e questo è il vero cuore del film, non gli inizi criminali o il finale anche abbastanza inusuale per un noir. Nella lunga e preponderante parte centrale del film Pericle non è più un criminale, non ha praticamente nulla di quel che abbiamo conosciuto di lui o della maniera in cui ci è stato presentato, è un personaggio tradizionale del cinema italiano d'autore, un meridionale duro che apre la sua scorza grazie all'amore. Anche il bel dettaglio dell'essere drogato si perde assieme alla sua prima vita. Una svolta entrato nel vivo il film non ha più nulla del poliziesco, non ne ha più le notti e i colori, i tagli o i movimenti, comincia ad indugiare su scene quotidiane, a usare i non detti e i sottotesti come arma principale e non come strumento per suggerire altro. In una parola comincia a pretendere che lo spettatore lo segua in un percorso molto poco interessante e aleatorio, molto difficile e per nulla centrato, invece che coinvolgerlo in un'avventura appassionante.

Inutile dire che abbiamo pochissimo bisogno di un film del genere, le cui premesse sono molto più interessanti del suo svolgimento e che fa un uso pessimo di un personaggio che in partenza sembra invece interessante, un gangster ex attore porno che effettivamente rompe l'ano alle persone che viene mandato a minacciare.

Almeno Michele Alhaique con Senza nessuna pietà (film con più di un punto in comune con questo) aveva la decenza di ridurre la parte intimista allo stretto indispensabile, poco più di una concessione verso tre quarti della storia, prima del finale da puro poliziesco e dopo la grande introduzione metropolitana. Mordini invece nasconde il suo film d'autore dietro ad un dito, dietro ai capelli sporchi e acconciati alla samurai di Scamarcio, dietro a qualche sparuto colpo di pistola e alle fastidiose tute da criminale. Quello di Pericle il nero non è mai il mondo in cui è facile morire e difficile amare tipico dei noir, ma quello in cui in ogni cuore alberga lo spirito di un poeta tipico del più velleitario cinema d'autore italiano.

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