[Cannes 2016] The Nice Guys, la recensione
Tutto fondato sulla stupidità e l'esaltazione della sua serendipity, The Nice Guys non parodia l'hardo boiled ma lo venera
Con l'atteggiamento meno serio possibile Shane Black rimane aderente fino alla fine al suo genere, non tradisce le premesse e mette in piedi un intreccio che poteva tranquillamente animare un film serissimo, duro e disperato. A fare la differenza è la stupidità umana, la maniera in cui è sottolineata e quasi ammirata. Non siamo di fronte agli idioti dei Coen (che con Il Grande Lebowski si muovevano esattamente in questa acque), per Shane Black la stupidità non è una piaga triste sebbene esilarante, non è il corollario di un mondo in cui tutto accade senza un ordine, ma semmai il condimento di un destino già scritto, una meraviglia da celebrare perchè divertente. L'ironia non è l’ultima beffa ma la vera esaltazione del vivere. Come tale è un piacere unico.
Non è una novità per questo regista ma soprattutto sceneggiatore dire tutto quel che intende dire con il ritmo. Non è una novità nemmeno che questo ritmo non sia indotto tanto dall'azione (che pure non manca) quanto dai dialoghi, dal fiume di parole che riempie ogni sequenza, ogni momento concitato, ogni pausa. Non si può stare zitti nei film di Shane Black perché le parole sono quello che tiene in vita i personaggi, solo i morti non parlano e anche quando in fin di vita tutti hanno qualcosa da dire. Quello che per altri sarebbe un limite Black lo trasforma in ricchezza.
Se nell'hard boiled i personaggi sono quasi sempre spettatori di qualcosa di più grande, di un mistero che ammirano mentre lo scoprono, quasi esastiati dalla complessità e ampiezza del male, anche qui Gosling e Crowe vagano quasi rapiti dalle ramificazioni del complotto e del doppio gioco di chi credevano dalla loro parte o anche solo dalla maniera in cui il caso continua a fargli cadere sulla macchina la persona che cercano.
Ci vuole una capacità fuori dal normale di creare credibilità attraverso la personalità dei caratteri (di nuovo, è con la parola che lavora Black) per rendere una storia così assurda paradossalmente credibile, per non perdere lo spettatore nell'esagerazione delle sue coincidenze ma tenerlo avvinto dalla convinzione che alle volte l'ironia della vita sta proprio in quanto il caso ci possa sorprendere.