[Cannes 2016] Elle, la recensione
Ironico, grottesco e tremendamente reale, Elle è un capitolo fondamentale nella grande filmografia di Paul Verhoeven dedicata alla violenza del vivere
Per la prima volta in un film di questo incredibile cineasta olandese dalla vasta carriera hollywoodiana si ride. E parecchio. Si ride della meschinità della protagonista, Isabelle Huppert, manager di una società di videogiochi (indovinate? Violenti!) che tratta tutti con cinismo, sarcasmo e un distacco umiliante. Si ride della violenza vera, cioè dell’assalto che subisce e dello stupro perpetrato ai suoi danni. Si ride infine di chiunque subisca ingiustizie e vessazioni dagli altri.
Il cinema spesso per inseguire il pubblico e consolarlo sfocia nell’ipocrisia, loda il politicamente corretto e ritrae l’ideale più che il reale, ciò che vorremmo credere più che ciò che viviamo. Elle non solo non fa questo, ma rende il punto di vista più cinico sull’umanità una realtà così concreta ed evidente che non si può che ridere riconoscendone il paradossale realismo. Criminali che il giorno dopo si comportano come nulla fosse, tradimenti che non portano a nulla di grave e padri che accettano figli di colore quando loro sono bianchi. Ogni evento che i personaggi subiscono su di sè come fosse uno schiaffo ci suona così vero e concreto da impressionare, ogni ironia data dalla maniera in cui reagiscono agli eventi è talmente cinica da risultare onesta e lontanissima dall’ipocrisia.
Che poi tutto ciò scateni delle liberatorie risate èil dettaglio che merita una riflessione maggiore.