[Cannes 2016] Elle, la recensione

Ironico, grottesco e tremendamente reale, Elle è un capitolo fondamentale nella grande filmografia di Paul Verhoeven dedicata alla violenza del vivere

Critico e giornalista cinematografico


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Qualsiasi cosa Paul Verhoeven filmi, sia la fanteria dello spazio, sia un poliziotto robot, sia una spogliarellista, un interrogatorio o una scena medievale, in realtà sta filmando la violenza che abita dentro di noi. Nei suoi film qualsiasi cosa, dalle interazioni ai media (soprattutto i media) è un veicolo di violenza, e questa prende la forma dell’umiliazione, della cattiveria, del cinismo, dell’arroganza o, come in Elle, del grottesco.

Per la prima volta in un film di questo incredibile cineasta olandese dalla vasta carriera hollywoodiana si ride. E parecchio. Si ride della meschinità della protagonista, Isabelle Huppert, manager di una società di videogiochi (indovinate? Violenti!) che tratta tutti con cinismo, sarcasmo e un distacco umiliante. Si ride della violenza vera, cioè dell’assalto che subisce e dello stupro perpetrato ai suoi danni. Si ride infine di chiunque subisca ingiustizie e vessazioni dagli altri.

Elle è un lungo e non sempre piacevole viaggio nell’ordinaria violenza che si nasconde nelle vite più comuni, nelle paternità fittizie, nei vicini di casa sanguinari, nell’insicurezza personale e nei soprusi in ufficio. Un viaggio tutto affrontato assieme ad una protagonista più che pronta a questo mondo, uno squalo che da bambina ha visto il padre massacrare 27 persone, che poi erano i suoi vicini di casa, e che da allora pare così anestetizzata alla durezza del mondo da non battere ciglio nemmeno quando viene stuprata. Anzi! Eppure è lei la più normale e adatta a vivere del film. E che attrice Isabelle Huppert, capace di convogliare così tante facce diverse, capace di mescolare da sola il registro ironico con quello amaro, capace di comandare, gestire e dosare in questa maniera il proprio appeal sessuale!

Il cinema spesso per inseguire il pubblico e consolarlo sfocia nell’ipocrisia, loda il politicamente corretto e ritrae l’ideale più che il reale, ciò che vorremmo credere più che ciò che viviamo. Elle non solo non fa questo, ma rende il punto di vista più cinico sull’umanità una realtà così concreta ed evidente che non si può che ridere riconoscendone il paradossale realismo. Criminali che il giorno dopo si comportano come nulla fosse, tradimenti che non portano a nulla di grave e padri che accettano figli di colore quando loro sono bianchi. Ogni evento che i personaggi subiscono su di sè come fosse uno schiaffo ci suona così vero e concreto da impressionare, ogni ironia data dalla maniera in cui reagiscono agli eventi è talmente cinica da risultare onesta e lontanissima dall’ipocrisia.

Che la violenza sia in ogni ambito della vita di tutti è una verità difficile da accettare, ma questo film di Verhoeven sa declinarla in così tanti modi diversi e a così tanti diversi gradi di intensità (dallo stupro alle frecciatine o anche solo ad uno sguardo maligno mentre si dà un bacio) da essere il più vero e autentico manifesto del mondo per come lo viviamo e non per come lo sogniamo.
Che poi tutto ciò scateni delle liberatorie risate èil dettaglio che merita una riflessione maggiore.

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