[Cannes 2016] Dog Eat Dog, la recensione
Partito come una scheggia Dog Eat Dog si arena quasi subito per colpa di una sceneggiatura confusa e complessa che Schrader non riesce a fare mai sua
Purtroppo invece il film si rivela quasi subito molto più convenzionale, la storia di tre criminali appena usciti di prigione che l’esigenza di soldi spinge a fare un colpo difficile, il rapimento di un neonato per conto di un boss della mala. Il colpo finirà male, uccideranno proprio la persona che avrebbe dovuto pagare il riscatto e comincerà così una caccia all’uomo che tutti sanno non potrà mai finire bene.
Sembra un potenziale buon film di genere, ma non è il cinema di genere quel che interessa a Schrader. Da questa storia lui sembra più interessato alla maniera in cui il delirio prende realtà, il modo in cui le ossessioni sembrano materializzarsi date alcune condizioni estreme.
Dopo quei minuti iniziali già raccontati Dog Eat Dog, semplicemente, si perde in un lungo coacervo di dialoghi e scene confuse, annaspa in una mancanza di obiettivi concreti, non riuscendo a materializzare paure e idiosincrasie dei tre protagonisti. Come se Schrader si gettasse in una zona del cinema che non è quella in cui eccelle, come se non sapesse di essere in grado di trionfare solo quando a patto di muoversi intorno ai suoi temi e alle sue ossessioni, con personaggi malati di desiderio, sceglie di misurarsi con uno script raffazzonato e confuso che una messa in scena davvero creativa e interpreti perfetti non riescono a salvare.