[Cannes 2016] Bacalaureat, la recensione

In un mondo infernale un uomo retto cede ad ogni tentazione per salvare la figlia, Bacalaureat è un piccolo saggio sulla colpa

Critico e giornalista cinematografico


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Christian Mungiu è un cineasta solo apparentemente chiaro. 4 Mesi 3 settimane 2 giorni era un film in pieno stile Dardenne, cinema d'autore fondato sulle decisioni dei protagonisti e le loro conseguenze, girato con uno stile semidocumentaristico che li segue ovunque, stando sempre con loro e non volendo guardare nessun altro. Oltre le colline era invece un film diverso, una discesa agli inferi in un luogo fuori dal tempo e dalle regole, una sorprendente parabola di ossessione religiosa. Ora Bacalaureat è di nuovo il piccolo inferno di una persona sola, di nuovo segue un protagonista senza compromessi in un pugno di giorni in cui concentrare tutti gli eventi. Lui è un uomo per bene in un paese corrotto, un medico che non accetta corruzione e ha saldi principi, tuttavia quando la figlia viene assalita da uno sconosciuto e molto turbata, poco prima dell'esame finale il cui esito determinerà se potrà andare a studiare all'estero o meno, decide che corromperà chila valuterà, noncurante di come tutto questo sarà preso da lei.

In maniera molto diversa dai Dardenne il mondo di Mungiu è permeato da regole, sia quella autoimposte dai protagonisti, sia quelle più astratte che sembrano pendere sul loro capo. Il medico fedifrago pronto a tutto per sua figlia sa infatti molto bene quel che sta facendo, ha ben chiare le violazioni e la gravità di quel che ha architettato.
Piccolo saggio sui molti dettagli che ci rendono persone peggiori e sulla presenza di un demonio (metaforico) cioè di una forza tentatrice che spinge anche i più retti verso la distruzione dei princìpi in cui credono, Bacalaureat letteralmente massacra il proprio protagonista, lo induce con tutti i mezzi possibili a compiere le scelte peggiori, dal piacere sessuale, al desiderio di vendetta fino alla paura e all'aspirazione di un futuro migliore per la figlia. Ogni volta le sue malefatte sono annunciate da qualcuno che gli rompe una finestra con un sasso. Come un martello demoniaco che contrappunta una vita fino a quel momento (relativamente) retta, i sassi sulla finestra annunciano le decisioni peggiori. La pena, inevitabile, per i peccati commessi sarà la più dura, ovvero il giudizio impietoso della sua unica figlia.

A rendere Bacalaureat un film dal fascino misterioso è però la maniera in cui Mungiu guarda quest'uomo, questo peccatore che scende sempre più giù nei gironi con l'intento di tirarne fuori la figlia, di spingerla fuori da quella terra che esalta il peggio di ognuno che è la Romania. Senza paternalismi o pietismi ma anche senza eccessi di condanna, il regista sembra essere il più onesto di tutti, meno bigotto ed estremo della figlia, ha piena comprensione del punto di vista del suo protagonista e, come i poliziotti che lo verranno ad interrogare, lo tratta con durezza ma anche comprensione. Tra tutte le ottime qualità del film, che sa anche appassionare rilasciando con grande maestria poche informazioni alla volta, questa dell'equilibrio sul giudizio è forse la migliore, sicuramente la più difficile da raggiungere e la più necessaria da ostentare.

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