[Cannes 2014] Whiplash, la recensione

Ogni anno a Cannes c'è una sorpresa, una bomba imprevedibile che scoppia, quest'anno l'ha sganciata la Quinzaine (ma già si era visto al Sundance) ed è un film imperdibile...

Critico e giornalista cinematografico


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La vittoria del gran premio della giuria e di quello del pubblico al Sundance film festival l'aveva messo nella lista dei film da vedere, il passaggio al Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes l'ha consacrato anche in Europa.

Whiplash è un raro caso di film indipendente americano che non lo è solo nominalmente e fattualmente (girato con pochi soldi senza ricorrere a major) ma anche di testa. Whiplash è indipendente dalle strutture narrative canoniche del cinema statunitense (non rispetta la scansione in 3 atti imperante), è indipendente dai clichè di trama (nulla sembra andare come ci si aspetta da questo genere di storie), è indipendente dalla consueta morale (che vuole un fasullo e buonista trionfo dei sentimenti più condivisi come le storielle d'amore o la famiglia, su quelli più personali ed estremi come le passioni individuali o il desiderio di essere qualcuno) e infine è indipendente dal gusto medio (visto che parla di musica ma non dell'onnipresente rock/pop bensì del jazz).

La storia appare molto canonica e gira intorno ad un ragazzo che studia alla scuola di musica più importante di New York, è batterista e nella prima scena vediamo che viene notato da uno dei membri più duri, esigenti ed influenti dell'istituto. E' bravo e a sorpresa viene promosso dalla band del primo anno a quella personale del grande insegnante, quella che partecipa alle gare nazionali. Tutto sembra bello in realtà si rivelerà un inferno di soprusi, fatica, insulti, urla e umiliazioni da Full Metal Jacket (in questo finalmente emerge la statura di J. K. Simmons, caratterista immenso).

Damien Chazelle (al suo primo lungo da regista) imbastisce una storia con umorismo raffinato e non (si ride di pancia e di testa) che conduce il suo protagonista sui binari di Shine, cioè la ricerca di una maniacale forma d'eccellenza musicale ma con una maniera originalissima (e molto reale) di conciliare vita personale e realizzazione professionale. Se il film ha un ottimo ritmo, grandi trovate, molto coinvolgimento e decisamente tutto quel che serve a farlo amare nonchè a portare il pubblico ad eccitarsi per trionfi o sconfitte, è da un'altra parte che cela una maestria nascosta.

Perchè nel fare quel che il cinema americano sa fare meglio (coinvolgere con la barocca esibizione di una possibile scalata attraverso una volontà di ferro) in realtà fa anche quel che quei film raramente sono capaci di realizzare, cioè affermare il più scomodo dei principi, imporre il meno condiviso dei punti di vista e lavorare sulla musica con una serietà che non si vede mai. E' infatti suonato benissimo Whiplash, e usa questa sua abilità per far ridere o portare avanti la storia, coinvolge il pubblico in un genere che (in linea di massima) gli interessa poco e in uno strumento tra i meno celebrati (la batteria) con la sola forza di un immaginario estetico personale che affonda evidentemente le radici in una conoscenza accurata del mondo descritto.
Alla fine di questo sforzo titanico di ritmo, messa in scena, unione di musica e immagini in maniere nuove e umorismo che stempera di continuo il sudore dell'ansia per le sorti del protagonista, ne esce una parabola molto canonica ma raccontata con una cattiveria e una morale diverse.

Damien Chazelle non vuole sconvolgere le strutture del cinema statunitense ma morde con rabbia mentre diverte con gusto, picchia fortissimo e in volto mentre ironizza con delicatezza, massacra il suo protagonista mentre lo eleva sempre di più perchè questa alla fine è la sua visione dell'eccellenza (in musica ovviamente ma anche in tutto il resto).

Se continua così avremo a lungo a che fare con questo autore.

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