[Cannes 2014] Lost River, la recensione
Per il suo debutto Gosling pesca suggestioni dai suoi registi preferiti realizzando un film a suo modo interessante, seppur imperfetto…
Quando, un paio di anni fa, si è saputo che Ryan Gosling si sarebbe messo per la prima volta dietro alla macchina da presa a tutti è venuto naturale pensare che, qualsiasi fosse stata la storia, sicuramente l’estetica sarebbe stata ispirata a quella di Nicolas Winding Refn. Ora che ci troviamo di fronte al lavoro concluso non si può dire che l’intuizione fosse sbagliata. Lost River, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, per il taglio delle immagini, l’utilizzo delle luci e di una colonna sonora virata all’elettronica evoca più volte ricordi sia di Drive che di Solo Dio Perdona, ma le connessioni con altri registi celebri e celebrati non finisce qui. Quali? Lui nei titoli di coda di Lost River ringrazia anche Dereck Cianfrance (con lui Blue Valentine e Come un tuono) e Terrence Malick (con cui sta lavorando da attore in un film ancora senza titolo), ma è difficile non pensare anche a David Lynch e, per la scena del balletto di Eva Mendes, anche a Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez.
Per essere un debutto alla regia Gosling fa vedere alcune cose interessanti ed altre meno. È vero che, come già detto, il suo film sembra un potpourri di cose già viste, ma il film mantiene una propria tensione narrativa e dopo una prima parte oltremodo lirica, riesce a raccontare una storia non facile che in più punti, in altre mani, avrebbe rischiato di diventare involontariamente ironica. Se dietro al tutto non ci fosse un’icona di fascino del cinema contemporaneo, ma ci si ricordasse che è un’opera prima, Lost River sarebbe sicuramente apprezzato più di quanto non sia stato finora a Cannes, dove la stampa internazionale ha già avuto modo di vederlo. A questo punto non si può che aspettare la seconda prova di Gosling, sperando che le tante critiche piovutegli in questo giorni non la rimandino troppo nel tempo.