[Cannes 2014] Grace di Monaco, la recensione

L'apertura del Festival di Cannes delude come poche altre volte è capitato. Ridicolo, implausibile e privo di qualsiasi visione sulla storia che racconta, l'unico pregio del film è di essere breve...

Critico e giornalista cinematografico


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ATTENZIONE per motivi editoriali sono state apportate alcune modifiche alla recensione, fermo restando il senso generale e il giudizio sul film.

Poche cose appaiono fuori luogo all'apertura del Festival di Cannes come la presentazione di questo romanzetto rosa, con parenti intenti ad ordire intrighi e capi di stato messi nel sacco in un gran ballo. Grace di Monaco lavora tutto per tutti i suoi 100 minuti cercando di abbassare, semplificare e ridurre a consuetudine di genere qualsiasi anche lontano riferimento storico o possibile intreccio. Il genere in questione ovviamente è quello della principessa sofferente nel palazzo dorato, degli inservienti cospiratori e della grande politica tra stati che si risolve in clamorosi eventi mondani.
C'è un'arroganza tutta particolare però, alimentata dalla totale mancanza di ironia, nella maniera in cui Grace di Monaco pretende seriamente di trasformare figure storiche in ridicoli "cattivi", in cui vuole raccontare un vero dramma (perchè in questo è molto serio) attraverso la più svogliata delle rappresentazioni.

Olivier Dahan sembra aver progettato un cartone animato degli anni '80 che spiega ai bambini la storia dell'embargo francese ai danni del principato di Monaco e di come l'empasse europeo sia stato risolto dalla risoluzione di una diva americana, dotata del pragmatismo e della furbizia statunitense. Diviso tra odi familiari che stimolano intrighi e figure d'altri tempi come il prete (cattolico) salvifico che vive di poche cose in una stamberga di campagna ma è il più fidato consigliere di Grace e del Principe (anche per le questioni di stato!), Grace di Monaco è privo di quella ricerca e quel (minimo) rigore che Dahan aveva dato a La vie en rose
Di certo non bastano gli oscuri presagi di folli macchine lanciate sulle strade costiere, nè carrelli che passano da dietro lo schermo a davanti lo schermo per inquadrare la protagonista, a dare una prospettiva o un angolo di lettura ad un film che non si fa mancare nemmeno un punto nella lista dei luoghi comuni.

Era difficile trarre da Grace di Monaco un buon film ma altrettanto lo era mettere in scena un disastro simile da risate a scena aperta senza il consenso dell'autore. Non di meno l'impressione è che, proprio per quelle stesse caratteristiche che rendono il film implausibile all'apertura di Cannes, esso possa invece trovare un suo pubblico nei passaggi televisivi, fondato com'è sui primi piani di Nicole Kidman ringiovanita (molto ispirati a quello più noto che introduce Grace Kelly in La finestra sul cortile) e su un culto divistico a cui non sfuggono le comparsate di Maria Callas (interpretata da Paz Vega con un implausibile naso piccolo), Aristotele Onassis e Alfred Hitchcock. Sempre rigorosamente introdotti con nome e cognome.

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