[Cannes 2014] Dragon Trainer 2, la recensione

L'addestramento dei draghi prosegue affrontando il difficile rapporto di branco, mentre tra gli uomini i bambini diventati adolescenti vogliono affermare i principi pacifisti. Tutto secondo le regole...

Critico e giornalista cinematografico


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C'è una scheggia impazzita che si muove nelle major d'animazione da più di 15 anni ed è Chris Sanders. Sono suoi i film meno convenzionali e più sorprendenti tra quelli prodotti dalle grandi case conservatrici (quindi va esclusa la Pixar). Regista da grande studio, capace di far passare tra le maglie di questi colossi dell'ordinario piccole perle di assurdità e novità come fosse un indipendente, Sanders ha creato Mulan, Lilo & Stitch e più recentemente I croods nonchè Dragon Trainer. A questo sequel ha però lavorato solo la sua spalla storica, Dean DeBlois (che aveva co-diretto il primo) e la mancanza di Sanders pesa moltissimo.

Nonostante infatti alcune scelte centratissime (la soundtrack di Jonsi dei Sigur Ros non casualmente perfetta con le scene di volo leggero e libero tra le nuvole sopra il nord del mondo), Dragon Trainer 2 riporta in toto sui binari del consueto una serie che pareva avviata in altra maniera, cioè che sembrava capace di gettare un osso a chi desidera non essere stupito e donare soddisfazione anche a chi pretende qualcosa di più. 
Nonostante sia indubbio come questo secondo film riesca a rendere emozionanti e potenti anche le svolte più prevedibili e immancabili in un cartone animato (e davvero non è un'abilità da poco!), è pur vero che non solo mancano i guizzi d'originalità che avevano fatto la differenza nel primo ma anche ciò che ritroviamo (il character design dei vichinghi, le personalità particolari degli amici di Hiccup, i colori dei draghi, la fotografia giocata sul fumo e le nuvole...) è diventato banale ed è stato fatto rientrare a forza nei ranghi del sistema.

Non c'è ad esempio quell'assurdo atteggiamento scanzonato nei confronti della mutilazione che vedevamo nel film precendente, come non c'è l'umorismo stralunato. Al posto loro qualche storiella d'amore abbastanza usuale e un umorismo poco divertente.
La scelta è stata quella di puntare sugli elementi di successo, come sempre, ovvero la caratterizzazione dei draghi com un misto di gatti e cani (alla ricerca di un generale "Aaawww!" del pubblico), la rivolta dei giovani e il sentimentalismo del rapporto tra padrone e animale domestico. Tutti sembrano un po' aver tirato i remi in barca per darsi da fare unicamente nelle 2-3 scene madre (indubbiamente funzionanti), limitando il vero lavoro solo a ciò che il primo film ha dimostrato essere di successo e non a tutto il resto.
Uniche curiosità sono il design miyazakiano (in stile Nausicaa della valle del vento) dell'armatura del misterioso personaggio incontrato tra le nuvole (lì pare d'essere nel sogno di Porco Rosso o in Laputa) e la maniera in cui la donna doppiata in originale da Cate Blanchett non somiglia all'attrice ma più a Michelle Fairley che in Il trono di spade interpreta Catelyn Stark.

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