[Cannes 2014] Clouds of Sils Maria, la recensione

La nostra recensione del film presentato da Olivier Assayas al Festival di Cannes, con Kristen Stewart e Juliette Binoche...

Mi occupo di Badtaste dal 2004 con l'aiuto di un grande team.


Condividi

Alpi, Svizzera, un treno che ancora deve arrivare a destinazione (la Sils Maria del titolo) ed una ragazza continuamente chiamata al cellulare nonostante i problemi a mantenere costante la linea. Parla, concorda, organizza. Non per sé, ma per l’attrice di cui è l’assistente. Kristen Stewart e Juliette Binoche, la prima al servizio della seconda, almeno così è per i loro personaggi. Si stanno dirigendo all’incontro con il regista che vent’anni prima aveva lanciato l’allora giovane attrice nel gotha delle star internazionali dandole la parte di una giovane assistente che si innamora, ricambiata, della sua capa. Sembra proprio la loro storia. Lo è? Non proprio, non almeno fino in fondo, anche se le dinamiche che si instaurano tra le due protagoniste sembrano analoghe a quelle della piéce teatrale di cui si parla nel film e il fatto che ad un certo punto si trovino a recitarne, per lavoro, i dialoghi, non fa che aumentare le analogie...

Se l’anno scorso l’ultimo giorno di festival di Cannes regalò Venus in furs di Roman Polanski, quest’anno il compito di giocare con di mischiare il cinema con il metacinema utilizzando il teatro spetta al francese Olivier Assayas, qui regista e sceneggiatore. L’intelligente costruzione narrativa del suo film ruota intorno allo scorrere del tempo e di come gli anni cambino prospettive e sensibilità.

Ruoli scambiati, aspirazioni mantenute e negate, l’attore come materia in mano ad autori che ne dispongono a piacere senza la necessità che tra l’interprete ed il personaggio si instauri una relazione viscerale. Da un punto di vista intellettuale Sils Maria è molto stimolante. Alcune trovate di sceneggiatura come l’anticipazione sull’epilogo del personaggio della Stewart attraverso un dialogo sul teatro che si ascolta poco prima senza sospettare che avrà un collegamento diretto con la storia, dimostrano la volontà di viaggiare in alto, senza regalare nulla allo spettatore, neanche un finale scontato.

Le interpretazioni delle attrici poi sono eccezionali, sia la magnifica Juliette Binoche (in un ruolo molto autobiografico) che Kristen Stewart (a cui viene ironicamente fatta recitare una difesa strenue a film fantasy e di fantascienza che però hanno del sentimento, un po’ come Twilight) bucano lo schermo. Purtroppo, però, nonostante tutti questi meriti, il rischio noia è dietro l’angolo. Si parla tanto, troppo, e per buona parte delle due ore di pellicola non si capisce dove si voglia andare a parare. Ciò di cui parla Assayas è molto “piccolo”, ha difficoltà ad essere empatizzato da un pubblico che certi problemi non li testerà mai perché non ne ha tempo o perché non ha mai aspirato a fare l’attore o l’attrice. In tal senso è un peccato vedere il talento di Assayas al servizio di una storia tanto ambiziosa per registro narrativo, quanto borghese nell’approccio e destinazione.

Continua a leggere su BadTaste