Cambio tutto, la recensione

Alla quarta commedia di fila Guido Chiesa raffina il suo stile e trova un tema internazionale, ma Cambio Tutto soffre ancora di difetti nazionali

Critico e giornalista cinematografico


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Sono ormai 4 film che Guido Chiesa lavora con Colorado a commedie adolescenziali o sofisticate, Belli di papà, Classe Z, Ti presento Sofia e ora Cambio tutto, è un percorso di raffinazione da materia molto classica (Belli di papà) ad una invece più internazionale per confezione e temi. Forse allora il fatto che Cambio tutto sia un remake di un film cileno era un passaggio obbligato: internazionale nella confezione, internazionale nella provenienza e, quasi di conseguenza, internazionale nei temi. Alla fine la conclusione del film sarà infatti in linea con quella di film più grandi e influenti come Captain Marvel: il mondo degli uomini impedisce alle donne di realizzare il loro pieno potenziale.

Cambio tutto infatti si maschera da quel che non è, finge di essere una commedia all’americana sul tipo di Bugiardo Bugiardo, quelle in cui qualcosa cambia nel personaggio principale e lo rende diverso mostrandogli che effettivamente può essere diverso, migliore, e il mondo cambierà intorno a lui, e invece è altro. Dietro quella maschera di film individuale, su una persona che cambia risolvendo i suoi problemi, ad essere contrabbandata è una storia di pura rivendicazione di categoria, cioè sui problemi di tutte le persone come la protagonista.

Giulia subisce tutto dalla vita, subisce un fidanzato, un capo machista, un ex, un’amica che non se la fila, una sorella ecc. ecc. E di colpo inizierà a imporre la propria volontà, cambiando la sua vita in meglio. All’inizio sembra subire tutto perché è troppo remissiva, con il tempo invece capiamo che subisce perché una donna che non si impone il doppio degli altri subisce il mondo degli uomini, il loro sguardo su di lei, le loro idee sul suo corpo e via dicendo.

Questa dinamica non è impeccabile perché fa spesso molta confusione tra rivendicazioni di categoria (cioè tutti i casi in cui è sminuita in quanto donna) e problemi personali (tutti quelli in cui i suoi tratti caratteriali causano le sue difficoltà). Nel caos tutto diventa un problema di genere.

Simbolo della confusione che opera il film è anche il fatto che specie nella prima parte di rivendicazione dei suoi spazi la protagonista finga di prendersela con le persone che sono intorno a lei ma in realtà se la prenda con la tecnologia, come sempre avviene nel cinema italiano del resto, per il quale ciò che distrugge la società è il nuovo incarnato dal digitale. Non c’è un cellulare gettato via ma uno spaccato con il tacco (non cambia molto), e anche i difetti di molti personaggi vengono dalla loro dipendenza dalla tecnologia (così come la folla astante o i call center che la massacrano). La cosa fa particolarmente ridere considerato che i due attori feticcio di Chiesa da quattro film a questa parte sono i Panpers, un duo comico nato in tv ma fiorito su YouTube.

È ben più riuscita l’idea di fare una commedia davvero leggera con al centro una donna che non imiti quelle maschili ma che si confronti con problemi e visioni del mondo femminili (cosa rara da noi, dove se c’è una donna al centro di tutto si scherza sempre poco) anche se la confezione (in miglioramento rispetto ai film precedenti) non è ancora perfettamente all’altezza degli standard internazionali ed è viziata da problemi comuni a gran parte della commedia nostrana. Uno su tutti l’inconsistenza dell’umorismo. Valentina Lodovini forse è una delle attrici migliori per tentare questo tipo di cinema (per storia, immagine, carica e fisico) ma non ha una forza comica prepotente e la scrittura sembra non aiutarla. Intorno a lei un universo di macchiette mai davvero riuscite eccezion fatta per Libero Di Rienzo (che con poco fa ridere e crea un personaggio davvero onestamente ridicolo e umano).

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