Call My Agent - Italia 2, la recensione della seconda stagione

Prende una direzione più convenzionale Call My Agent - Italia 2 e attorno alle storie dei talent (sempre gustose) il resto si spegne

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Call My Agent - Italia 2, disponibile su Sky dal 22 marzo

Dentro la prima stagione di Call My Agent - Italia c’era l’unica possibile risposta a Boris. Una risposta completamente diversa per tono, tipo di umorismo, provenienza (Boris era italiano, questo è l’adattamento di un’idea francese) e soprattutto visione dell’industria. Con Boris per la prima volta una serie non solo provava a rifare il racconto dell’industria del cinema e della televisione italiani, ma lo faceva con una grande aderenza allo spirito del proprio tempo (spirito dell’industria ma soprattutto del paese). Questa risposta invece era quella perfetta non più per la depressione del duopolio Rai/Mediaset, ma semmai per l’esaltazione del dominio dei committenti pay, cioè le piattaforme o le tv a pagamento come quella che manda in onda la serie: Sky. Ora nella seconda stagione di Call My Agent - Italia, scritta sempre da Lisa Nur Sultan con Federico Baccomo e Dario D'Amato, non c’è più così tanto il cinema italiano e una visione della sua ripresa, anche figlia dell’uscita dalla pandemia, e c’è molta più televisione italiana e in particolare Sky.

Cosa racconterà la stagione 2 di Call My Agent - Italia

Le sei nuove puntate con altrettanti nuovi talent che fanno da guest star sono completamente diverse dall’equivalente francese. La prima stagione se ne distanziava progressivamente, adesso il legame non c’è più se non per l’impostazione dei singoli personaggi e i rapporti di forza che esistono tra di loro. L’agenzia in cui lavorano, la CMA, continua a navigare in acque pericolose, qualcuno deve comprarla e un nuovo proprietario arriverà lungo questa stagione. Le storie individuali (meno sviluppate rispetto alla prima stagione) proseguono l’evoluzione sentimentale. Ci sono più amori, nuovi amori, amori aboozzati e anche Lea, il personaggio più duro che all’amore preferisce il sesso, sembra ripensarci. Sul lato della storia degli agenti Call My Agent enfatizza le tipiche componenti melò della produzione seriale italiana.

È semmai sul lato professionale, cioè quello del racconto dei talent e delle loro questioni, che si sente una presenza maggiore delle piattaforme, dei progetti televisivi e a un certo punto proprio di Sky, presente con alcuni suoi talent, alcune ambientazioni e più di un programma menzionato se non proprio messo in scena. Dopo una prima puntata più concentrata sul cinema si moltiplicano le troupe che girano documentari da piattaforma, executive di piattaforme, trasmissioni tv, musicisti, talent noti più che altro per le fiction generaliste e talent diventate note per una serie tv internazionale fino a trasmissioni comiche da cui si viene cacciati per bestemmie. Call My Agent - Italia, a differenza di quasi tutto nel nostro paese, è prima di tutto un prodotto contemporaneo che parla del contemporaneo. Non a caso quando spaccia per attuale e plausibile qualcosa di fuori dal tempo (un horror di Dario Argento con una grande star come Elodie) suona strano.

Un progetto che compie dei passi indietro rispetto alla prima stagione

Quello che stupisce quindi è come mai, a fronte di tutto questo, la seconda stagione appaia così più caotica, meno precisa nella scrittura, meno chiara nei suoi raccordi e più diseguale. La precisa costruzione dei rapporti di forza e degli intrecci di gruppo (con tutti i limiti di una serie in cui ogni puntata ha un arco che deve concludersi) è molto meno precisa, e questo inficia non poco le storie degli agenti. Gli archi narrativi di ogni talent all’interno della puntata sono inalterati e dipendono molto da come questi impostano la propria partecipazione (si va dalla maniera in cui Serena Rossi e Davide Devenuto si mettono a disposizione, alla follia che Gabriele Muccino accetta cavalcandola, all’atteggiamento molto più timoroso di Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi), mentre quelli degli agenti sono ben più pasticciati.

Non è un caos voluto, perché non rispecchia niente della trama, è una diffusa mancanza di coerenza nei toni, nelle battute e nelle interazioni, come se in fase di scrittura si fossero alternati nomi diversi invece di una mano unica (come invece è stato). Non è sufficiente a compromettere la godibilità: Call My Agent ha il vantaggio di essere sempre illuminato dalla luce del metalinguaggio e di trovare nei suoi talent e nell’ironia con cui accettano (chi più chi meno) di cavalcare una versione di finzione di sé che non dice niente di vero su di loro ma tutto di vero sul mondo in cui si muovono, uno strumento di coinvolgimento che è quasi impossibile non funzioni. Ma così è pure molto evidente che in un prodotto da televisione a pagamento, sofisticato e per un pubblico esigente, si fanno strada, espedienti, piccolezze e difetti da serialità generalista, quella in cui alla precisione del lavoro si preferisce il divertimento (o la comodità) di chi ci ha lavorato.

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