Cake, la recensione
Pronto ad imitare tutti e quindi non essere nessuno pur di avere il successo a cui mira (quello intellettuale e modaiolo) Cake è un arrogante film su misura
In realtà è un mero veicolo per Jennifer Aniston e la sua immagine bisognosa di film più seri, cinema indie foraggiato da una star per i propri fini (sia economicamente, è produttrice esecutiva, che a livello di marketing, sul cartellone c'è solo la sua faccia), cinema indie su commissione personale. È evidente da quanto Cake si proponga di non creare niente ma ricalcare tutto sui modelli di già provato successo del genere che affronta. Ha una protagonista "danneggiata" piena di manie divertenti e buffi tic, ha una storia dura e tragica affrontata con un piglio divertito, una serie di personaggi di contorno molto reali da vera America, delle minoranze e uno spirito tutto sommato solare, ottimista nei riguardi dell'esser vivi e non conformati al modello imperante della società.
Sottoprodotto di un genere che qualche soddisfazione l'ha regalata, Cake racconta di una donna che in seguito ad un incidente diventa ossessionata con il suicidio di un'altra persona, la vede in giro, ne insegue le tracce e cerca di saperne di più come grande metafora del venire a patti con il proprio trauma e poter ricominciare a vivere.
La pretesa di essere a tutti i costi un'opera complessa, senza fare nessuno sforzo per diventarlo davvero dà a Cake un tono supponente che fa il paio con la sostanziale sciatteria del film.
Tarato sui toni di altri film (fotografia naturalista, montaggio invisibile, sceneggiatura che leviga il lessico di Hollywood per dargli una piccola patina di realismo e infine un trucco che finge di imbruttire la protagonista) Cake è l'imitazione dell'imitazione dell'imitazione, realizzato per ottenere il medesimo successo altrui, alimentato dai soldi della sua stessa star per essere quel che serve a lei e non quel che può piacere a noi.