Butter - la recensione
Un cast d’eccezione per una delle più originali commedie americane dell’anno, presentata al Festival di Roma nella sezione Alice nella Città...
Due vite che si incrociano nell’Iowa: una è una bianchissima e ambiziosa moglie di mezza età di un campione di sculture di burro ormai prossimo al ritiro (nonostante lei sia contraria), l’altra è una ragazzina di colore di dieci anni che ha passato l’infanzia cambiando continuamente famiglia in affidamento e che ha forse appena trovato – finalmente - i genitori giusti per lei. Le due si contendono il primato nella nuova edizione del concorso per modellatori di burro. Hanno due caratteri e due vite alle spalle che più diverse non si può: come finirà il loro match?
Seppure si tenti di fare satira sociale e politica con il continuo insistere sui cliché delle famiglie “conservatrici” della provincia americana fondate su religione, famiglia e malcelato razzismo, non si graffia mai a fondo proprio perché – volutamente - tutti i personaggi coinvolti, anche quelli “positivi” (come la bambina), sono troppo caricaturali per sembrare veri. E così Butter sembra più una versione iperlight di un lavoro alla Solondz che un’ironica commedia disimpegnata che cerca di veicolare qualcosa di serio attraverso il tono della commedia.