Butcher's Crossing, la recensione
In questo mondo naturale un po’ magnificato, un po’ ostile e un po’ indifferente, Gabe Polsky non riesce a trovare il suo vero punto di vista, muovendosi per inerzia.
La recensione di Butcher’s Crossing, presentato alla Festa del Cinema di Roma
Siamo nel 1874. La storia è quella di Will Andrews (Fred Hechinger), uno studente di Harvard che dal comfort aristocratico di Boston decide di andare alla scoperta della natura selvaggia del Kansas per unirsi ai cacciatori di bisonti in quelle che per lui sembrano romantiche avventure dai pericoli un po’ romanzeschi. Arrivato a Butcher’s Crossing si imbatte nel duro Miller (un misurato Nicolas Cage), che in cambio del finanziamento della spedizione lo porterà con sé e altri due soci per tentare un’impresa “larger than life”: inseguire e sterminare la più grande mandria di bisonti mai vista. Un ricordo di una sua visione passata che ormai di dissolve nel mito, ma che Miller - deciso a riscattarsi agli occhi dei colleghi - è convinto di poter raggiungere.
In questo mondo naturale un po’ magnificato, un po’ ostile e un po’ indifferente (rispetto alla superbia degli uomini) Gabe Polsky non riesce quindi a trovare il suo vero punto di vista, il suo guardo, muovendosi per inerzia. Il film infatti non ha mai momenti che rimangono particolarmente impressi, ma riesce comunque a cadere in piedi per la furba capacità che ha di essere di tutto un po’: e sta forse molto di più allo spettatore decidere cosa vederci dentro.
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